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Ceti medi, esercito fuori servizio

 

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Umiliati e offesi,in balia della crisi, fuori da ogni protezione politica

 di Franz Foti

Il crepuscolo del ceto medio ormai è in pieno corso. Nessuno l’avrebbe mai detto  che le classi medie, nucleo centrale di ogni forma di governo, di centro, di destra o di sinistra, si sarebbero sbriciolate di fronte alla profondità della crisi. In queste condizioni sono stati travolti privilegi, occupazione, carriere, ruolo sociale, capacità d’influenzamento. Ma, soprattutto, è saltata la filosofia dello scambio con il potere politico e aziendale. Mancano i margini di redistribuzione perché non si produce più ricchezza e il potere contrattuale delle classi medie si è ridotto a poca cosa.

Ora sono ceti disarmati e privi delle mostrine, scucite dall’anima. Ceti che, in buona parte, giacciono nei fondali della sofferenza esistenziale, ossigenati dalle loro ormai scarse riserve di sussistenza, abbandonati da politici e imprenditori, in attesa che costoro diano loro diritto di emersione insieme, magari, alla rigenerazione dei privilegi perduti.

Coloro che non vivono nei settori strategici della produzione, delle professioni e dei servizi rischiano l’emarginazione. E il riposizionamento occupazionale diventa sempre più difficile, troppo professionalizzati per impieghi di medio profilo, poco attrezzati per lavori di basso impiego.

Anche il piccolo e il medio imprenditore diventano lavoratori dell’impresa e della responsabilità sociale che rappresentano, subiscono le rapide evoluzioni dei mercati, dei prodotti, dei modelli di consumo e degli stili di vita. Stanno dentro i processi decisionali come tutti gli altri e con le ansie di chiunque, senza più certezze e coperture politiche, senza distinzione di classe. Sono soggetti a ribaltamenti repentini di mercato e a rischi di chiusura aziendale.

I ceti medi non avrebbero dovuto lasciar fare la politica e i partiti secondo i loro schemi anacronistici già a partire dalla metà degli anni Ottanta . Hanno perso grandi occasioni per contribuire a invertire la rotta del declino sociale e produttivo. Se lo avessero fatto, così come sostiene Giuseppe De Rita, Presidente del Censis, forse avremmo scritto un’altra storia del nostro Paese.

Nella cultura dei ceti medi risiedeva la capacità creativa e innovativa, l’intelligenza progettuale, l’insieme dei saperi scientifici e tecnici che hanno reso importante il nostro sistema. Tutto ciò si è affievolito. Il ceto medio non genera più ceto medio. Serve ricostruire. Ora c’è necessità di ricomporre questo bagaglio di conoscenze e di competenze per incrociare e promuovere la ripresa economica. Un Paese senza questo patrimonio si dimostrerà perdente, privo di capacità competitiva. Nel ceto medio risiede e scaturisce buona parte della creatività e del talento. Il suo offuscamento non potrà che rendere più incerta e problematica la via della ripresa economica. Chiunque governi, con qualsiasi risultato elettorale, nel corso della crisi e nelle fasi successive, dovrà costruire strategie di ricomposizione politica, produttiva e sociale, che abbiano come asse di riferimento l’intelligenza dei ceti medi. Tutti dovranno rivedere i propri assi strategici, sistema bancario compreso, che dovrà tenere conto delle nuove realtà sociali e produttive, adottando sempre di più politiche del credito che siano di prossimità, d’incoraggiamento e sostegno agli intraprendenti, ai sofferenti e alle nuove generazioni.

 

 

 

 

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Mauro Carabelli

Giornalista

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