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Il ceto medio e le nuove classi sociali

Il riferimento al concetto di “ceto medio” fa immediatamente pensare a un gruppo che si pone nel mezzo di altri, assumendone una posizione centrale ottenuta sulla base di calcoli aritmetici oppure statistici. Difficile risulta pertanto potersi riferire, in termini numerici generali, a strati sociali che occupano una posizione intermedia non tanto in quanto mancano riferimenti quantitativi sulla distribuzione della ricchezza, del potere e del prestigio in una società in continua mutazione socio-antropologica, oltre che economica.

Il problema risiede nel fatto che il concetto stesso di ceto sociale e anche quello di classe sociale (in realtà questo alquanto più complesso) non riesce ad aiutarci a collocare corrette valutazioni di quantificazioni economiche e sociali per categorie che trovano discordanze di vedute sia nei contenuti sia nelle delimitazioni di un continuum di strati.

Basta pensare a M. Weber all’approccio di K. Marx, di A. Smith, di A. de Tocqueville e tanti altri fino ai più recenti De Rita (con il suo concetto di “cetomedizzazione”), Sylos Labini V. B. Brocchetti, J.H.Goldthorpe, senza ripercorrere il pensiero di antichi economisti e sociologi, per capire che i confini di demarcazione della classe media, per citare qualche esempio classico, tra il proletariato e il capitalismo o quello del terzo stato della rivoluzione francese tra clero e nobiltà o altri ancora, non sono più riproponibili.

Sono termini la cui significazione dovrebbe avere un valore generico e poco definito, ma che invece, purtroppo, risulta ampiamente condiviso, in maniera alquanto generico, nella terminologia giornalistica e politica.

Una identificazione del ceto medio basata sul censo esclude elementi importantissimi quali prestigio, istruzione e stile di vita, e quindi propensione al consumo, che sono forse gli elementi più caratterizzanti le varie fasce e classi che costituiscono la complessa realtà sociale, purtroppo gerarchica e classista.

La classe media forse indica proprio la dimensione delle differenti collettività che si possono individuare sulla base di specificità culturali e non di condizioni economiche: tra la dimensione economica (classe, ricchezza) e quella culturale (ceto, prestigio) non sempre esiste una stretta coincidenza. Esempi in tal senso possono essere individuati nei casi dei nuovi ricchi la cui situazione censuaria è spesso accompagnata da valutazioni sociali decisamente negative oppure dell’antica e decaduta nobiltà la cui dignità sociale e, talvolta, il prestigio prescindono dalle condizioni economiche.

La stratificazione sociale ha subito sempre forti trasformazioni in tempi moderni con l’avvento della società post-industriale e il fenomeno della terziarizzazione, dell’espansione della classe media impiegatizia e dell’avvento di nuove attività lavorative e professionali. La antica logica delle divisioni per settori ha subito grandi mutamenti nelle attività e nelle organizzazioni e nei rapporti di lavoro tra imprenditori e dipendenti, tra professioni e artigianati evoluti e tra salari e attività indipendenti.

Risulta pertanto difficile in questo contesto in continua variazione definire l’appartenenza a un ceto o classe sociale anche in ragione del fatto che i criteri di valutazione sul prestigio sociale di varie categorie di lavoro è molto fluttuante e mutevole: esempio la categoria degli insegnanti, oggetto anche di forti riduzione salariali, ha perso il suo grande prestigio anche se in alcune regioni ancora persiste una discreta considerazione.

Le recenti crisi economiche, a volte associate a forti speculazioni che hanno portato grandi guadagni per taluni, inducono forse alla necessità di ripensare la gerarchia dei valori che regolano l’organizzazione della società. Di fatto si parla di rimettere l’uomo e la sua dignità al centro delle valutazioni sociali, ma di fatto si assiste al potenziamento di gruppi legati allo spirito di corporazione, di casta e di ordine che, aldilà del fatto lavorativo, rappresentano sempre più piccole classi sociali.

In una recente indagine sociologica effettuata in Italia, alla domanda a quale ceto sociale appartenesse il soggetto intervistato, la stragrande maggioranza si è definita facente parte del ceto medio (54%) pur non avendone, in alcuni casi, affatto le caratteristiche né economiche, né culturali. Le ragioni sono abbastanza evidenti e non solo legate a una maggiore identificazione linguistica: una parte importante (34%) è classe operaia che si sente inconfutabilmente tale; pochi si sentono, sono o vogliono definirsi ceto dirigente o borghesia (12%), mentre gli impiegati, insegnanti, tecnici, professionisti, proprietari terrieri, commercianti e tanti altri si sono autodefiniti nella fascia intermedia.

Grande interesse risulta la ricerca effettuata in Gran Bretagna sulla base della quale un sondaggio sulle classi sociali ha rivelato come le tradizionali divisioni della popolazione britannica nelle tre classi tradizionali, operaia o lavoratrice, media borghesia, alta borghesia o aristocrazia, siano ormai obsolete e riduttive. Un migliore accesso all’istruzione secondaria e universitaria e una maggiore mobilità sociale hanno determinato nuove classi sociali, grandi cambiamenti e fluidità nella struttura sociale.

La stratificazione sociale si è intensificata in ben sette classi, partendo dall’elite in alto fino ai poveri che rappresentano la categoria più in basso (il proletariato di marxiana memoria è sostituito dal “precariato” o dagli immigrati). Il quadro delineato dal sondaggio è più complesso. La classe al quale una persona appartiene non dipende più solo dall’attività svolta, dalla ricchezza e dal livello di istruzione, ma dall’insieme di una dimensione economica (che comprende reddito, risparmi, valore del patrimonio immobiliare), di una dimensione sociale (numero e status di amici e conoscenti) e di una dimensione culturale (non solo il titolo di studio conseguito ma anche interessi e attività culturali svolte).

Grande mobilità quindi e nuovi ceti sociali si inseriscono tra le antiche classi sociali mutandone le connotazioni e le caratteristiche di riferimento; ma pensare che la vecchia classe media sia, nel suo insieme globale, in una fase crepuscolare è ancora prematuro anche se vi sono numerosi segni di mutazioni in corso soprattutto per l’ampliamento della fascia sociale più bassa incrementata dai nuovi proletari costituti dai disoccupati, cassintegrati e immigrati.

Le difficoltà economiche, il decadimento dei valori etici e sociali, la caduta dei consumi danno segnali preoccupanti che debbono fare riflettere sulle azioni politiche, e non solo elettorali, da intraprendere per ricreare un tessuto sociale sostenibile con nuove prospettive per un futuro migliore soprattutto per le nuove generazioni.

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Mauro Carabelli

Giornalista

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