I politici nostrani arbitri infedeli della rappresentanza e della Costituzione.
Qualche giorno fa mentre ero in fila all’aeroporto londinese di Heatrow, in attesa di imbarcarmi per l’Italia, non ho potuto fare a meno di sbirciare, davanti a me un passeggero, anche lui in attesa di partire, che teneva aperto il passaporto per poterlo esibire al check in. Sul documento oltre alla fotografia del possessore, apparivano nitidamente tre parole, scritte in grande, che, nella loro brevità racchiudono l’essenza del concetto di democrazia: we the people, noi, il popolo.
Si trattava di un passaporto americano. Sono infatti queste le parole, peraltro più volte ripetute con cui si apre la Costituzione degli Stati Uniti, parole che custodiscono la storia stessa della democrazia americana. Una storia che, nel corso dei secoli è stata spesso messa alla prova da minacce di ogni genere, prima fra tutte la divisione fra le sue genti, così diverse, così lontane nelle origini, nelle fedi e nelle idee, ma così determinate ad essere un solo popolo. Nella buona, ma soprattutto nella cattiva sorte. E’ proprio infatti quando infuria la tempesta, quando ogni speranza sembra perduta che gli americani trovano nel loro senso di appartenenza alla nazione, nel loro rispetto delle istituzioni e nel loro sentirsi comunità la forza di guardare avanti con ottimismo e determinazione. E’ stato così dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbour, e dopo gli attentati dell’11 settembre, perché il concetto è che la democrazia, quella vera, sopravvive e rinasce nei tempi difficili.
Certo una frase non può, da sola, rappresentare un modo di essere e di vivere la democrazia rappresentativa, tuttavia è un punto di partenza che mette al centro l’interesse collettivo rendendo il popolo l’unico vero arbitro delle sorti del Paese. In Italia, purtroppo, Il declino, inarrestabile di un sistema politico che non riesce a rinnovarsi ha favorito l’entrata in scena di Movimenti che hanno catalizzato lo scontento e la disillusione dei cittadini mancando però, almeno fino ad ora, l’obiettivo di elaborare soluzioni di rappresentanza alternative sostenibili. Tutto ciò ci pone di fronte antichi interrogativi: democrazia rappresentativa o democrazia diretta? Di quest’ultima, che fino a qualche anno fa veniva considerata come un’utopia, oggi se ne può parlare concretamente poiché le nuove tecnologie multimediali consentono soluzioni un tempo impensabili. Oggi, infatti, almeno da un punto di vista teorico, per votare basterebbe premere un tasto da casa. Un’alternativa che appare particolarmente allettante in un momento in cui i Parlamenti tradizionali, in particolare il nostro, vengono percepiti dalla pubblica opinione come centri di costo e di spreco, luoghi in cui si celebrano rituali inutili e obsoleti che non garantiscono alcuna trasparenza sulle decisioni prese.
Il problema esiste, non lo si può negare. E la crisi politico-istituzionale in atto, destinata probabilmente a durare a lungo, ci impone un’attenta riflessione. La storia repubblicana recente e passata ci ha dimostrato come spesso gli organi costituzionali funzionino in maniera completamente diversa da come erano stati pensati dagli estensori della Carta. Purtroppo, per quanto una Costituzione sia valida ed efficace, sono sempre gli uomini che ne applicano le regole e la mania tipicamente italiana di derogare l’inderogabile, certo non aiuta. Vale a dire, le regole sono importanti, ma conta sempre di più se e come vengono applicate. Lo stesso vale per le istituzioni. E’ stata la cattiva politica a umiliare il Parlamento e i Governi, intesi come forme istituzionali e non viceversa, occorre quindi trovare una giusta sintesi che attraverso una maggiore democrazia diretta corregga le storture di una democrazia rappresentativa che si è auto trasformata in casta. Solo allora, forse, quel “we the people”, anche se non sarà scritto sul nostro passaporto, incomincerà a permeare le nostre Istituzioni, mettendoci finalmente al centro dei processi decisionali e di cambiamento che investono le nostre vite e rendendoci arbitri del nostro destino.