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Formazione di livello universitario per donne in politica

 

fonte:lastampa.it

(Fonte fotografia: lastampa.it)

di Mauro Carabelli

Nelle aule dell’Università dell’Insubria aperto un corso di formazione politica, giuridica e amministrativa per chi intende governare l’ente locale in un’ottica di genere.

Sta riscuotendo un grande successo, e non avrebbe potuto essere altrimenti, il corso di formazione politica, giuridica e amministrativa rivolto a chi intende governare l’ente locale in un’ottica di genere. Organizzato dalla Consigliera di parità della Provincia di Varese, in collaborazione con l’Università degli Studi dell’Insubria e l’Ente provinciale, il corso, condotto da docenti universitari e manager, è articolato in dieci moduli per un totale di 120 ore con la prospettiva di offrire un quadro di cultura politica, sociale, giuridica ed economica sul tema della parità, delle pari opportunità e sulle discriminazioni di genere.

E’ una sfida apertissima, soprattutto a ridosso delle prossime elezioni comunali di maggio, perché il contributo paritario di donne e uomini alla vita economica e sociale del Paese, soprattutto nelle posizioni di vertice, nel campo pubblico come in quello privato, incontra ancora troppi ingiustificabili preconcetti e ostacoli che vanno superati anche aumentando i livelli di conoscenza e competenze.

I numeri sconfortanti relativi alla partecipazione al femminile ce li aveva già offerti il Global Gender Gap Report del 2012. Alla voce Political Empowerment, veniva infatti rilevato un peggioramento della disparità di genere nella rappresentanza politica in Italia, che passava dal 55° al 71° posto, preceduta non solo da paesi considerati “civili” come Islanda, Finlandia, Norvegia, Germania, Svezia, ma anche da alcuni insospettabili come Sud Africa (7°), Mozambico (12°), Filippine (14°), Bolivia (20°), Sri Lanka (22°), Burundi (30°), Malawi (53°), Kazakhistan (61°), tanto per citarne alcuni.

Ma poi sono arrivati i numeri dell’Ue da cui è risultato che la rappresentanza femminile sfiora oggi appena il 27% di tutti i parlamentari eletti, con un dato allarmante in più: meno del 50% si dichiara aperto all’ingresso delle donne in politica. Persistono forti resistenze culturali, dunque. Per non dir di peggio.  Ed è forse questa la nota più dolente sulla base di quanto emerge dallo studio “Azioni per parità di genere nel Parlamento europeo, elezioni 2014”, realizzato dal Parlamento europeo in vista delle prossime elezioni europeo del 22-25 maggio.

In cima alla classifica delle eccellenze, a pari merito Svezia e Finlandia con il 43% di rappresentanza femminile, seguite da Belgio (41%) e Spagna (40%). Il dato peggiore è quello ungherese (9%), preceduto da Cipro (11%) e Malta (12%). Il nostro Paese con un tasso del 28%, si colloca in posizione intermedia. E’ un dato, se vogliamo, consolante perché appena superiore alla media Ue (27%), ma non particolarmente brillante in quanto dimostra la persistenza di un notevole divario partecipativo nei vari livelli politici e amministrativi del Paese, che si allarga ancora di più nelle posizioni di vertice, complice anche la lentezza con cui avvengono i cambiamenti nelle stanze dei bottoni.

Questa situazione vale anche per i CdA delle maggiori imprese europee quotate in borsa, dove le donne in posizione di vertice rappresentano circa il 14% dei membri rispetto al 12% del 2010. A questo ritmo ci vorranno circa 40 anni prima di sfiorare almeno una situazione di equilibrio.

Certo, in Occidente siamo ormai lontani dalle pregiudizievoli esclusioni delle donne, protrattesi per millenni anche con persecuzioni che non hanno risparmiato l’Europa cattolica o riformata che fosse.   Ma molte di quelle scorie che compongono ancora il “controllo” limitativo del corpo e della mente delle donne non persistono solo nei violenti e sanguinari fondamentalismi presenti in alcune parti del mondo contemporaneo ma anche in una inossidabile visione di un mondo “a metà”, dura a morire.

“E’ quella visione – come ha fatto notare il responsabile del corso di formazione, prof. Minazzi, ordinario di Filosofia teoretica dell’Università dell’Insubria – che ha escluso le donne dalla partecipazione civile e dalla crescita culturale facendo camminare per secoli l’umanità su un piede solo, con gravi carenze nei più svariati campi etici, filosofici e scientifici”.

Ora si tratta di inserire con urgenza e determinazione nella quotidianità ciò che costituisce un indirizzo accettato e condiviso nei principi. Infatti, se le quote in Italia costituiscono, almeno in teoria, un’incoraggiante presa di posizione da parte della politica, nella realtà, da Nord a Sud, resistono ancora troppe evidenti e inaccettabili “distrazioni” nel rapporto di rappresentanza. Per esempio, non c’è solo la Basilicata dove, per la seconda volta consecutiva, nessuna donna è risultata eletta in Consiglio regionale. Ma c’è pure l’amministrazione comunale di un capoluogo tra i più imprenditoriali e ricchi del Paese, come quello di Varese, che vanta solo un “assessora” in una Giunta di dieci componenti sindaco incluso, e una sola “consigliera” comunale su 32 eletti. Certi eterni ritorni spuntano dove meno te li aspetti.

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Mauro Carabelli

Giornalista

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