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Dal rifiuto allo spreco: come affrontare e gestire la nuova emergenza alimentare

Alessandra Zambelli

Slow Food e la Dott.ssa Alessandra Zambelli tecnologo alimentare organizzano un ciclo di conferenze-lezioni sullalimentazione a Comerio

 

(di Federico Moretti) Sabato 11 ottobre, presso il Centro Civico del Comune di Comerio (VA), Slow Food ha inaugurato il proprio ciclo di tre conferenze-lezioni sull’alimentazione. La Dott.ssa Alessandra Zambelli – il tecnologo alimentare che presiede gli incontri – è stata introdotta da Claudio Moroni, Fiduciario della Condotta di Varese. Il primo appuntamento ha definito il concetto di spreco, invitando a riflettere sulla sua quantità e illustrando come ridurlo a partire dal miglioramento delle abitudini alimentari nelle famiglie italiane. È possibile contenere questa emergenza con la prevenzione?

 

È paradossale che, nel mondo, il numero delle persone che muoiono di fame equivale a quello di chi muore per la sovralimentazione. Il 2013 è stato l’anno europeo contro lo spreco alimentare e – nonostante l’entità del fenomeno – l’interesse delle istituzioni è recente: non è stato percepito come un’urgenza fino a due o tre anni fa. Qual è la sua corretta definizione? Riferendoci al cibo, è l’insieme di quei prodotti che non hanno ancora perso il proprio valore alimentare… ma non hanno più quello commerciale. L’11% dei rifiuti, secondo le stime, è costituito da alimenti edibili.

 

In Italia, lo spreco è soprattutto domestico: il 42% dev’essere attribuito alle famiglie — il 39% ai produttori, il 14% ai ristoratori e il 5% ai rivenditori. Gli Italiani buttano 7,9€ di spesa ogni settimana, pari al 3% del PIL nazionale, gettando tra i rifiuti una quantità di cibo che sfamerebbe 44 milioni di persone all’anno. Cifre che dimostrano le cattive abitudini dei consumatori occidentali che dal 1974 ad oggi hanno portato a un aumento degli sprechi del 50%. Come sono ripartiti e com’è possibile invertire questa tendenza? Occorre sfatare il mito della ridistribuzione.

 

Non è facile destinare agli indigenti il cibo sprecato dagli Italiani, perché esistono delle norme rigorose – come la cosiddetta “Legge del Buon Samaritano” – a garanzia della qualità dei prodotti, scartati dalla grande distribuzione organizzata e raccolti dalle ONLUS. Iniziative quali Last Minute Market, partita dall’Università di Bologna, sono molto utili a gestire i rapporti fra distributori e volontari per rispettare gli obblighi giuridici però non bastano a limitare lo spreco. Slow Food identifica nell’educazione e nella prevenzione gli strumenti più adatti a contenerlo.

 

Provoca imbarazzo che fra i cibi più sprecati nel nostro Paese compaia proprio il pane: un alimento che non è soggetto a date di scadenza. Sono numerose le ricette della nostra tradizione culinaria che ne prevedono il riciclo e che i consumatori italiani hanno dimenticato, come sottolineato dalla tendenza ad acquistare della carne per cucinare le polpette — un piatto tipico del recupero degli avanzi. Il problema è serio perché riguarda pure i bambini che usufruiscono delle mense scolastiche e non percepiscono il valore di ciò che mangiano. I loro sprechi s’attestano al 13%-16%.

 

Secondo Waste Watcher – l’osservatorio italiano sugli sprechi – un altro alimento da considerare è il formaggio: la Dott.ssa Zambelli ha tenuto a precisare che, nella maggioranza dei casi, le muffe dei prodotti caseari non costituiscono un problema per la salute. Tuttavia, ne buttiamo il 30,3%. Quali sono i principali motivi di questo atteggiamento? È soprattutto un problema culturale, perché cuciniamo porzioni eccessive e siamo condizionati dall’estetica. Slow Food intende educare al cibo «buono, pulito e giusto» per trasformare l’emergenza in opportunità nell’intera filiera.

 

Federico Moretti

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Mauro Carabelli

Giornalista

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