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Possono fermare un concerto ma non la musica

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(di Davide Bonamici)

13 Novembre 2015, Venerdì sera, una serie di attentati terroristici ha sconvolto Parigi, uno di questi ha colpito il teatro Le Bataclan, dove si teneva il concerto della band Eagles of Death Metal.

98 morti, la maggior parte giovani, tra cui una ragazza italiana, Valeria Solesin.

Persone che erano andate a vedere un concerto, per passare un pò di tempo in compagnia dei propri amici e per divertirsi. Ma qualcuno ha preferito fermare la musica nel Bataclan e metterne un’altra, quella delle bombe e dei mitra.

C’è stato poco tempo per fuggire: molti sono scappati dal retro o dalle finestre degli altri locali del teatro, altri si sono nascosti nelle altre sale o si sono finti morti ed hanno aspettato l’irruzione dei corpi speciali francesi.

Alcuni non ce l’hanno fatta, sono stati colpiti alle spalle e dai piani superiori, e altri sono stati eseguiti ad uno a uno: presi, gambizzati e poi finiti con un colpo alla testa.

Oltre al teatro sono stati colpiti lo Stade de France, il quartiere di Les Halles, i ristoranti Le petit Cambodge, Le Carillon e Casa Nostra, e il locale La Belle Equipe.

Tutte le azioni terroristiche hanno portato a un bilancio iniziale di 129 morti e 382 feriti, di cui 99 in gravi condizioni.

Il mondo della musica si è fermato per questa tragedia, U2, Foo Fighters e gli Eagles of Death Metal stessi, hanno fermato o annullato i loro tour, per paura di altri attacchi e per solidarietà verso le vittime e verso la Francia.

Altri musicisti hanno deciso di suonare per le strade di Parigi, come fece il musicista bosniaco, Vedran Smailovic, nel 1992, a Sarajevo, dopo un attentato.

Hanno voluto suonare nelle strade per ricordare le vittime, ma anche per dire che la musica è una voce forte e che nessuno può fermarla, nemmeno chi la ritiene, come l’Isis, “frutto del demonio”. L’Isis ha un odio maniacale per la musica, perchè secondo i suoi militanti è simbolo del peccato. In Afghanistan, talebani e fondamentalisti vietavano la musica. Ma nel Luglio di quest’anno, a Kaboul e ad Herat, si sono tenuti i primi concerti rock, di band locali. Una svolta, perchè per il paese è la prima volta nella sua storia.

Oggi ci si chiede ancora come mai tanti ragazzi siano dovuti morire in nome di una “divinità” (Allah), ma l’incredulità e la rabbia ci vincono.

John Lennon diceva in Imagine che, il mondo sarebbe stato un posto migliore, senza uccidere in nome della fede e che ogni essere umano doveva condividere il dono della vita.

Spero che un giorno possa essere così, mettere da parte i nostri credi e le nostre differenze, e convivere rispettandoci l’un con l’altro.

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Mauro Carabelli

Giornalista

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