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Amnesty denuncia le condanne capitali dell’Arabia Saudita

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(foro da: ilguastatore.it)

(di Maha Kanaan)
Il regno saudita organizza un’esecuzione di massa con oltre 50 condannati, l’organizzazione internazionale Amnesty: “Riad usa la condanna a morte per sistemare questioni politiche”.
Secondo la stampa locale, l’Arabia Saudita, ha pianificato un’esecuzione di massa: 52 (forse 55) condanne a morte da eseguire tutte nello stesso giorno per “reati al terrorismo”. Lo segnala Amnesty International che ha parlato di un grave aumento delle pene capitali nel regno. Secondo l’organizzazione sono circa 150 le condanne a morte decretate quest’anno (90 l’anno scorso): il numero più alto negli ultimi vent’anni.
La preoccupazione maggiore deriva dall’utilizzare la minaccia terroristica per mandare a morte gli oppositori. Tra i condannati ci sarebbero diversi sciiti arrestati durante le proteste anti-governo, manifestazioni che non vengono menzionati nei media internazionali, per motivi diplomatici.
Tra i condannati ci sono sei residenti di Riad, sei attivisti che, secondo Amnesty, hanno subito un processo iniquo. Tre di loro, inoltre, sono stati condannati per reati commessi quando erano minorenni e le loro confessioni sono state estorte con la tortura. Si tratta di Abdullah al-Zaher, Hussein al-Marhoon e Ali al-Nimr, quest’ultimo arrestato per aver partecipato alle proteste del 2011. Quella che alcuni hanno soprannominato la “rivolta segreta dei sauditi”, messa a tacere da Riad e ignorata da tutto il mondo.
Ali al-Nimr, ora 21enne, sarà decapitato e crocifisso, questa sentenza ha scatenato l’indignazione internazionale, ma potrebbe essere eseguita a breve. Il giovane, sotto tortura e senza assistenza legale, ha confessato di appartenere a un’organizzazione terroristica, di possedere armi, di aver lanciato bottiglie molotov contro le forze di sicurezza e di aver usato il suo cellulare per organizzare la protesta. A complicare la situazione del ragazzo è il fatto di essere nipote di un famoso imam sciita (Nimir Baqr an-Nimir), noto oppositore della monarchia sunnita wahabita saudita e che, per il suo noto dissenso, fu imprigionato e decapitato agli inizi delle rivolte arabe scoppiate nel 2011. Secondo quanto riportato da Amnesty, gli altri cinque attivisti condannati sono fratelli e la madre ieri si è rivolta al re Salman per invocare clemenza.
Riad dichiara che le condanne a morte sono in linea con la loro legge coranica, ma per gli attivisti sono un’arma, un monito, per sedare il dissenso interno e sbarazzarsi di scomodi oppositori.
James Lynch, vicedirettore di Amnesty International, dichiara: “È chiaro che le autorità saudite stanno usando la maschera del contrasto al terrorismo per sistemare questioni politiche”.

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Mauro Carabelli

Giornalista

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