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Buon cammino Duca Bianco

 

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(di Veronica Perazzolo)

“ Sebbene niente ci tenga insieme, potremmo rubare del tempo” (Heroes – David Bowie.)

Un altro paladino della musica ci ha lasciati.

Amo definirlo  l’alchimista della musica: era in grado di mescolare unicità, provocazione, misticismo in una pozione follemente spiazzante e ammaliatrice.

Era l’artista stregone, mutevole insieme alla sua malìa.

Mago dell’antitetico, del pomposo e del nichilismo, creando un legame surrealmente possibile tra poli opposti.

Era l’artista fabbro, fondeva e saldava generi diversi ed era in grado di far sentire il peso del suo martello, capace di abbattere i muri dell’indifferenza umana.

Un artista in continua evoluzione, in continuo mutamento e capace di far fluire nella musica l’arte del teatro, la letteratura e la filosofia, celebrando l’allegorico come nessun altro.

Bowie era l’artista circense che come un equilibrista solcava quel sottile filo rosso che spartisce la geniale e sublime bellezza e lo struggimento decadente umano, l’apollineo e il dionisiaco come direbbe Nietzsche,  la tensione verso l’idilliaco infinito e lo struggimento della contingenza umana, direbbero i romantici.

In tutto ciò, crogiolandosi nel barocco. O barock in questo caso.

Blackstar è forse l’apice dell’espressione dell’artista- alchimista che si destreggia tra gli alambicchi dalle sonorità cupe, dissonanti che ti colpiscono l’anima, lasciandoti in uno stato di disorientante inquietudine.

Un preludio dell’altra inquietante faccia della luce che è la mancanza,

il buco nero da cui si manifesta ma dal quale potrebbe essere riassorbita  se dovesse languire la ragione del suo splendore.

Un inferno nichilista dove il buio ha lo spessore del velluto grazie alla straziante oscurità della stella nera

Quella stella, un tempo luminosa che ha scelto di perire.

Quella stella demoniaca, nell’artista stregone che lo rivela, avendo letto in se stesso le prime tremanti ombre di morte.

 

 

 

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Mauro Carabelli

Giornalista

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