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Contro il volere dei burocrati, la volontà dei cittadini. La storia di un Centro sanitario popolare in Calabria

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(Di Franz Foti *)

Ore 13,30 di giovedì 7 gennaio, Germaneto, provincia di Catanzaro, Cittadella della Regione. Si conclude un incredibile braccio di ferro fra la burocrazia della Regione Calabria e l’Associazione Calabrese di Epatologia. Il Centro sanitario popolare che risiede a Pellaro, frazione sud di Reggio, e che fa capo all’Associazione, riapre i battenti dopo alcuni mesi di chiusura per le ostilità cavillose disseminate dalla burocrazia regionale. Burocrazia abituata spesso alla lettura del “solo cartaceo”, talvolta distante dalla sensibilità e dall’attenzione sociale verso chi ha motivi di sofferenza esistenziale. Storie di ordinaria quotidianità in una terra difficile, molto difficile.

Nel mese di ottobre uno zelante dirigente della regione Calabria redige l’atto di chiusura del Centro per l’inosservanza di qualche aspetto del tutto marginale e, d’imperio, decide che le attività di diagnosi e cura di migliaia di cittadini debbano essere interrotte con conseguente chiusura del Centro. Alcuni amici del Centro, profondamente indignati, fanno scattare una spontanea e rudimentale raccolta di firme di protesta su un quaderno di scuola. In poco più di un’ora le adesioni hanno superato le 500 unità. Parte la solita procedura degli incontri con gli esponenti della burocrazia regionale e gli avvocati cominciano a preparare “la carta da bollo”. Si apre un contenzioso giuridico e amministrativo. Ma non succede nulla.

I cittadini, consapevoli delle litanie del potere, tagliano corto e il 6 dicembre scorso organizzano una mobilitazione popolare di protesta. Oltre un migliaio i manifestanti. La Regione comincia a comprendere le conseguenze della paradossale chiusura del Centro e avverte l’esigenza di rispondere a una domanda pressante. Il rischio di una seconda mobilitazione popolare nei loro confronti era strisciante. A questo punto la trattativa per la riapertura del Centro ritorna alla “politica responsabile” e imbocca la strada naturale del buon senso e della civiltà.

Il Centro è frequentato da migliaia di persone, di ogni estrazione sociale, di qualsiasi nazionalità e da chiunque non sia in grado di sostenere le spese per diagnosi e cura di determinate patologie. A Reggio il Centro è conosciuto come una struttura che garantisce efficienza, alte professionalità, tempestività nelle visite, massima cura delle persone e attenzione alle condizioni socioeconomiche di chiunque non sia in grado di pagare le prestazioni che gli vengono rese. Ci lavorano ormai da cinque anni una ventina di persone, medici e personale paramedico, per la maggior parte volontari. La sicurezza della salute è un bene comune a qualsiasi latitudine sociale e politica e il rispetto della dignità delle comunità lo è altrettanto. E il Centro riprende la sua attività di prossimità.

Nel capoluogo calabrese la sanità è quella che è. Il reggino spunta il reddito medio industriale più basso d’Italia. La città è devastata dai debiti ereditati dall’amministrazione Scopelliti, le possibilità di rilancio sono poche. Per il popolo di Reggio il Centro rappresenta un punto d’eccellenza, un progetto professionale e sociale, saldo e trasparente, di prospettiva, vicino ai bisogni reali delle persone, per chiunque manifesti esigenza di salute. E sino ad ora a nessuno è stato consentito di piegarlo a interessi politici o mafiosi.

Ma la burocrazia politica e amministrativa talvolta non riconosce ciò che non domina. È verosimile dunque che possa insorgere ancora qualche esibizione della muscolatura del potere. Nessuno se lo auspica, il popolo reggino non lo sopporterebbe. Ora siamo già alla seconda fase. I cittadini e il personale sanitario vogliono mettere in cantiere una struttura molto più grande di quella esistente, aperta alle esigenze della salute, sensibile ai problemi sociali, culturali e ambientali. Un progetto culturale, d’identità collettiva, fondato sulla sostenibilità umanitaria, senza barriere di sorta. Di questo, Reggio, il sud, il Paese, ne hanno urgente bisogno.

(*Giornalista – Docente di Comunicazione Pubblica e Istituzionale Università dell’Insubria)

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Mauro Carabelli

Giornalista

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