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Uteri e appartamenti affittasi

 

affitto

(immagine da lifegate.it)

(di Elisabetta Riva)

Il dibattito sul riconoscimento delle unioni civili omosessuali, sancito dal DdL Cirinnà, ha portato alla luce un assunto etico particolarmente delicato: gli uteri in affitto. In Italia, secondo la normativa 40/2004, la surrogazione della maternità è espressamente vietata, punibile penalmente con la reclusione da tre mesi a due anni e il pagamento di una sanzione da 600 000 a un milione di euro.

È bene chiarire che il suddetto disegno di legge non permette ai coniugi coinvolti di affittare l’utero di una madre biologica ed adottare il nascituro; anzi, il Parlamento italiano non sembra minimamente intenzionato ad aprire le proprie vedute. Risuona chiara nel nostro paese la rigida imposizione che obbliga i futuri genitori sterili a rivolgersi a centri specializzati per la fecondazione assistita eterologa – la quale prevede l’utilizzo di spermatozoi e/o ovuli di altri soggetti fertili al di fuori della coppia – che risiedono nelle maggiori capitali europee.

In Italia la sanità pubblica tutela e promuove la sola fecondazione assistita omologa – ossia realizzata con le cellule sessuali dei coniugi direttamente interessati – a sua volta fermamente difesa dal Vaticano.

Il polverone sollevato in merito alla nuova legislazione e alle sue conseguenze, adozioni e utero in affitto compresi, ha indispettito alcuni esponenti dei principali partiti italiani, tra cui Maurizio Gasparri e Carlo Giovanardi, i quali vogliono condannare a livelli esponenziali la maternità surrogata, decretandola “reato universale” e renderla quindi perseguibile a livello penale; in molti – per contro – ritengono si tratti di uno stratagemma politico per negare la concessione di ulteriori diritti in merito alle possibilità genitoriali nei confronti delle coppie gay civilmente unite.

Non è tutto. Recentemente, i social network sono stati letteralmente invasi da segnali di protesta non indifferenti: i Giovani Padani della Brianza postano sulla loro pagina Facebook immagini inequivocabili che ritraggono ventri di giovani ragazze recanti le parole “NON SI AFFITTA, NON SI VENDE”; oltra la Manica, le autorità francesi si dimostrano ancora una volta contrarie alla manovra, considerata lesiva per i diritti della persona, in particolare della madre, che non può essere paragonata ad un oggetto o ad un “contenitore”.

Ora, la questione etica che siamo costretti a fronteggiare è un rompicapo punteggiato da innumerevoli difficoltà: purtroppo, salvo rare eccezioni, l’utero in affitto, ove praticato, si configura come una pratica lucrosa, in cui la madre biologica “presta” se stessa in cambio di somme di denaro – piuttosto sostanziose – provenienti dalle tasche di coppie benestanti, incapaci però di generare prole. Non è un caso che svariate celebrities hollywoodiane si siano rivolte spesso a madri surrogate.

È molto complesso schierarsi in un contesto di questo tipo, perchè le nostre convinzioni morali a tratti risultano ambivalenti ed è problematico trovare una convergenza d’opinione.

Da un lato la coscienza ci suggerisce di condannare l’usanza, a mio avviso per due motivazioni: la paura che l’utero in affitto si trasformi subdolamente in un traffico d’organi, a danno d’innocenti che ne pagherebbero le terribili conseguenze, anche sanitarie; e, in secondo luogo, la presenza stringente della Chiesa e del Vaticano che ci indirizzano verso scelte di vita lontane dal laicismo e dall’omologazione con altre forme sociali e culturali – dobbiamo però ammettere che, ultimamente, con la guida di Papa Francesco, la cristianità in Italia sta assumendo una nuova piega, moderna e libera.

Dall’altro la morale ci invita invece ad accogliere una visione del genere, semplicemente perchè, immedesimandoci nel genitore sterile e senza speranza alcuna, anche noi potremmo optare per una scelta tale, con i suoi pro e contro.

Tuttavia, la casistica è troppo intricata per ridursi a una scelta binaria: le implicazioni in gioco sono molteplici, e molteplici saranno le barriere da superare per giungere a una conclusione, qualunque essa sia.

L’aspetto che risulta fondamentale a questo punto è – oltre a chiedersi come reagirebbero le masse – accertarsi che, in ambedue i casi, la condizione finale sia assolutamente legale, in termini normativi concreti: non possiamo accettare circostanze clandestine in cui giovani donne affittino il proprio corpo e lo cedano al migliore offerente, e neanche possiamo convivere con la certezza che un’opzione tanto estrema non faccia parte della nostra cultura.

Cautela, informazione, prevenzione e riflessione: queste le parole chiave che devono trovare giusta applicazione, coadiuvate da una costante attività in termini politico – socio – sanitari per evitare conseguenze disastrose.

Cogliamo nuove vedute, a volte ci sfuggono dettagli che emergono solo dopo aver analizzato a fondo la situazione. Evitiamo il giudizio. Adottiamo temporaneamente una posizione neutra ed equilibrata, finalizzata all’ascolto e all’attenzione per i risvolti di questa vicenda etica particolarmente spinosa.

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Mauro Carabelli

Giornalista

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