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L’impronta sulla luna

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(immagine da news.sbngs.it)

 

(Di Anthony Fiani)

Lo sono il 2001, il 1945, il 1914, il 1789 e il 1492 date strategiche passate alla storia grazie all’evento di uno o più uomini che hanno reso quelle cifre indimenticabili e insite nel nostro essere.

Qualche accenno basta per capirne l’importanza; potrei dilungarmi per moltissimi spazi di carta bianca per elencarle tutte, ma oggi parlo del 1969.

Proprio in questa data, 47 anni fa l’uomo sbarca per la prima volta nella sua vita sulla luna, il satellite della terra che per secoli abbiamo immaginato essere fatto di etere o che,  grazie alla geniale intuizione di Galileo, abbiamo potuto solo osservare nelle sue forme e caratteristiche.

Invece Neil Armstrong, quel giorno, sentì il suolo sotto i piedi e la sensazione era indescrivibile.

Il tempo dato ai veicoli spaziali privi di equipaggio per scattare foto, esplorare e confermare la sicurezza di un allunaggio era terminato.

Ora toccava all’essere umano.

La missione Apollo 11 aveva avuto successo al di là dell’incredibile.

Milioni di spettatori di tutto il mondo incollati al televisore per assistere alla realtà, al nuovo traguardo raggiunto dall’essere umano.

Quanti avrebbero voluto essere nei suoi panni?
Molti, ma c’è chi in quel giorno non vedeva più confini.

Tutto è davvero possibile.

Tra il pubblico di credenti, c’era chi fosse sicuro di trovare finalmente Dio lassù.

Si, perché un viaggio nello spazio ti apre gli occhi e ti porta davvero a spezzare qualunque limite venga posto.

Fluttuare, saltare qua e là da cratere a cratere e sentire il proprio corpo pesare la metà della metà.

Fermarsi a pochi passi dalla navicella e fissare il mondo, così vicino ma così lontano.

Il silenzio, la meraviglia, una lacrima che vorrebbe cadere ma resiste.

Immagino i protagonisti Neil, Buzz Aldrin e il compagno Michael Collins come se fossero viandanti sul mare di nebbia, dipinti dalla mano artistica di Fredrich e intenti a guardare umilmente in se stessi, nel proprio animo.

“That’s one small step for a man, but one giant leap for mankind”.

Questa fu la frase pronunciata da Neil che fece discutere le redazioni dei giornali americani più importanti che, a causa delle interferenze e dell’audio in ritardo, ebbero qualche problema prima di riportare le parole esatte del primo uomo sulla luna.

Un piccolo passo per un uomo (a man) o per l’umanità in generale (mankind)?

I tre astronauti lasciarono inoltre una targa di acciaio inossidabile in cui incisero i propri nomi, la data e lasciarono detto ai futuri visitatori di essere venuti in pace in nome di tutta la razza umana.
Tra i nomi spunta anche quello del presidente Richard Nixon.

Al loro ritorno sulla terra, gli Stati Uniti ribadirono che il solo fatto di essere stata la prima nazione a calpestare il suolo lunare, non avrebbe comportato alcun diritto di proprietà sul satellite.

Come ogni cosa in natura, tutto appartiene a tutti.

Voglio ricordare che in quel periodo il muro di Berlino in Germania era già stato eretto da quasi 8 anni ma Neil Armstrong disse che li, ad una distanza di circa 380.000 km dalla terra, confini, limiti, barriere e muri non esistevano.

Tutto era un tutt’uno, un altro passo assai arduo che l’uomo avrebbe dovuto compiere a distanza di altri 20 anni.

E qui mi viene difficile non citare uno dei più grandi scrittori italiani del ’900, Italo Calvino:
“Se alzi un muro, pensa a cosa lasci fuori”.

Come abbiamo potuto studiare dai libri, siamo a conoscenza poi del tentativo dell’Unione sovietica di sminuire l’impresa ai danni degli Stati Uniti affermando che si trattasse solo di pura propaganda.

Ciò è stato smentito più volte anche se ancora oggi una minoranza continua a sostenere la tesi di “uno spettacolo ben progettato dall’America”.

L’uomo ha la capacità di fare cose incredibili.
Di per se l’essere umano è intelligente, ma si perde nel materialismo, nella convivenza pacifica tra simili, nel male più semplice e banale.

Cambiare è difficile ma non impossibile, Neil l’aveva già capito quel giorno.

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Mauro Carabelli

Giornalista

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