0

Fuga nella morte

IL GIARDINO DELLE VERGINI SUICIDE

(Recensione di Elisabetta Riva)

Il giardino delle vergini

“Dopo aver offerto suicidi gratis a tutti, i signori Lisbon rinunciarono ad avere una vita normale. Nel corso degli anni sono state dette tante cose sulle ragazze, ma non abbiamo mai trovato una risposta: in fondo non importava la loro età, né che fossero ragazze. L’unica cosa che contava è che le avevamo amate”.

Sofia Coppola debutta nel 1999 dietro la macchina da presa con la sua prima pellicola – Il giardino delle vergini suicide – tratto dal romanzo drammatico di Jeffrey Eugenides.

Il film è ambientato nel 1974, a Grosse Pointe, un quartiere nella periferia di Detroit. L’America si lascia alle spalle un passato culturale bigotto, rigidamente cattolico e osservante, per vedere realizzata la nuova epoca della modernità e dei cambiamenti sociali. Dietro un perbenismo di facciata si consuma la tragica vicenda delle sorelle Lisbon – Therese, Mary, Bonnie, Lux e Cecilia – custodite gelosamente e private di ogni libertà da una madre eccessivamente severa e da un padre assente e succube.

Dopo un primo tentativo di suicidio da parte di Cecilia – la figlia minore – i genitori si convincono ad allargare la cerchia di frequentazioni delle ragazze, organizzando una festa che svolta però in un doloroso epilogo: la piccola, visibilmente imbarazzata e a disagio, si toglie la vita gettandosi dalla finestra della sua stanza, davanti ai presenti increduli e impotenti.

La morte della giovane cambia radicalmente la vita dei Lisbon: alle sorelle viene concesso per la prima volta di partecipare al ballo scolastico accompagnate da cavalieri in giacca e cravatta. Lux, la più intraprendente, si mette ben presto nei guai a causa della sua disobbedienza e promiscuità sessuale; la madre decide quindi di segregare letteralmente le figlie in casa, sottraendole a ogni piacere adolescenziale si possa godere, musica compresa.

L’unico contatto con il mondo esterno che queste ultime conservano è grazie ad alcuni ragazzi del vicinato, che comunicano con loro attraverso lettere, messaggi e segnali luminosi. Decidono di progettare una fuga insieme da quella prigione silenziosa, da quella vita che ha fame di essere vissuta: tuttavia, la paura e l’oppressione a lungo patite sfociano in un suicidio, l’ennesimo suicidio. Le sorelle Lisbon se ne vanno, lasciando chi resta a crogiolarsi negli interrogativi del perchè e del come abbiamo trovato forza per compiere un gesto insano ed estremo.

La regista costruisce ad arte un magistrale ritratto dell’adolescenza servendosi di piccoli espedienti che rendono ancora più intenso l’avanzare della pellicola. Un racconto soffice, delicato, che trasuda femminilità. Amerete i colori pastello, le luci soffuse che invadono le stanze, gli effetti personali inquadrati di proposito, i diari segreti: Sofia Coppola apre una finestra sul mondo delle cinque ragazze, lasciandoci entrare per spingerci all’immaginazione, all’immedesimazione, per farci credere che gli eventi possano prendere una piega differente, come vorrebbe la nostra fantasia, la nostra speranza. Si, perchè già dal titolo, purtroppo, capiamo in anticipo l’evolversi della narrazione.

Un titolo “spoiler” che non ci preclude alla visione del film, anzi, segna l’inizio di una serie di domande a cui possiamo rispondere solo guardandolo: quello di verginità e suicidio è un abile accostamento apparentemente insignificante, ma che analizzato si dirige verso una riflessione importante. Lo slancio vitale s’incrina con una mentalità eccessivamente puritana, con una figura autoritaria – la madre – che reprime ogni tentativo di soddisfare in modo naturale le esigenze di una ragazza adolescente. I bisogni di attenzione, di socializzazione, di condivisione vengono soffocati in un abbraccio stretto e terribilmente protettivo, al quale non si può sfuggire, se non con la morte. Le sorelle cercano e trovano con la morte l’unica via di scampo, la libertà da una vita di privazioni e imposizioni, di amore tanto esasperato ma mai ricevuto.

La signora Lisbon – stereotipo della perbenista media – incarna il modello bigotto e moralista che l’intero paese sta tentando di superare: la sua esistenza si concretizza in un atteggiamento di rigidità religiosa, di rituali reiterati con precisione (la preghiera a tavola, la messa della domenica, l’abbigliamento uguale per tutte le sue figlie) e di completa disattenzione nei confronti di quello che sta inesorabilmente accadendo tra le mura di casa, forte dell’aiuto e dell’approvazione del marito, dimesso e sottomesso, che ha poca voce in capitolo e che accetta di buon grado le decisioni della consorte.

Voce fuori campo per tutto il film è un adulto – da giovane uno dei ragazzi che ebbero modo, per poco, di frequentare casa Lisbon – che ancora si avvilisce nel dolore e riconosce quanto disperata sia stata l’effimera esistenza delle cinque sorelle.

Il film viene presentato al Festival di Cannes e a Sofia Coppola attribuita la capacità di essersi mantenuta fedele al romanzo originale, costruendo atmosfere incalzanti e tenui, ora di gioia, ora di cruda realtà. La pellicola permea in tutta la durata di un grido silenzioso, di una mano mai tesa, di una preghiera nascosta, di un aiuto invocato.

Sebbene nutriate alcune perplessità – suppongo legate al titolo – non potrete non appassionarvi a questa storia tutta al femminile, affascinante e irrimediabilmente triste, disarmante fino all’ultima inquadratura.

Sofia ha fatto centro al primo colpo!

Share Button

Mauro Carabelli

Giornalista

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *