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Made in Italy

ligabue

(Di Rebecca Manzi)

Dopo essere stato annunciato al Liga Rock Park di Monza, il 18 novembre l’album Made In Italy,

l’ultima fatica del rocker emiliano Luciano Ligabue, è finalmente uscito. Non si tratta di un album

“normale”, ma di un concept album, un album che racconta la storia di un personaggio, in questo

caso di Riko. Riko è l’alter ego di Ligabue – che di secondo nome si chiama, guarda caso,

Riccardo – è colui il quale sarebbe probabilmente diventato il cantante se Pierangelo Bertoli non lo

avesse scoperto. Un album molto diverso da quelli a cui sono abituati i fan del Liga, in quanto non

troviamo il solito Luciano innamorato o fiducioso nel futuro che ci dice che “il meglio deve ancora

venire”. La speranza la troviamo solo alla fine dei 14 brani, ma non anticipiamo nulla. Le canzoni

sono pensate durante il Mondovisione Tour, quando la band era in giro per il mondo a suonare i

successi del rocker. Qui Luciano ha incominciato a riflettere sul perché così tanti italiani siano

costretti a trasferirsi all’estero, specialmente per motivi di lavoro e qui ha scritto Non ho che te, una

canzone che racconta di un uomo di mezza età che si ritrova all’improvviso, come tanti, senza

lavoro. Qui è nato Riko. La storia di Riko è raccontata anche all’interno del booklet dell’album

grazie alle lettere che il protagonista scrive all’amico fraterno Carnevale prima di ogni brano e

che di fatto ne sono la spiegazione. Analizziamo ogni traccia e ripercorriamo il cammino di Riko:

La vita facile: è il primo brano dell’album, uno dei tre inediti presentati a Monza. Puro rock, basta

solo il riff della chitarra per dare una carica unica. Allo stesso tempo è però una canzone amara

che racconta di aspettative tradite e di un paese “che era tutto da rifare”, di un paese che “fa finta

di cambiare e intanto resta a guardare”. E intanto Riko si chiede chissà com’è e chissà dov’è questa

vita facile, perché lui la vita facile non l’ha proprio mai avuta.

Mi chiamano tutti Riko: finalmente il nostro protagonista si presenta. Riko è il classico uomo “in

crisi” di mezza età che ha cominciato troppo presto a lavorare e ha avuto troppa fretta “a mettersi

con Sara”. A soli 20 anni, infatti, faceva lo stesso lavoro del padre, divideva già un appartamento

con Sara ed aveva pure un figlio. Riko sa di aver bruciato le tappe e sa anche che “di colpo di

tappe non ce n’erano più”. Sullo sfondo in questo brano troviamo una critica – a dire il vero non

troppo sottile – verso la politica e verso soprattutto i politici, che promettono mari e monti –

evitiamo di riportare le parole esatte della canzone – senza mai rispettare nemmeno una di queste

promesse.

È venerdì, non mi rompete i c*****: (sì, ciò che pensate). In questa canzone dal ritmo rilassato,

“alla venerdì sera”, Carnevale e Riko tornano dopo anni in un locale dove amavano passare i

venerdì sera, ma tutto è cambiato e si sentono un po’ fuori luogo. Qui Carnevale tenta di attaccar

bottone con due ragazze, ma all’improvviso spuntano due ragazzi che ricordano loro, minacciandoli

persino con una pistola, quanto siano troppo “vecchi” per questi luoghi e che “c’erano prima loro”.

Vittime e complici: forse l’unica canzone d’amore dell’album, ma è un amore totalmente in crisi,

se non finito. È il resoconto della storia tra Sara e Riko, la cui crisi si riflette anche sulla loro casa,

dove ogni oggetto “fa difetto”. Un brano triste, in cui molte coppie non faticheranno a riconoscersi.

Riko non ha idea di come si sia arrivati a tutto questo – “chissà cos’è successo, dove c’era mare

mosso tra noi due adesso c’è soltanto un lago piatto” resta una delle perle di tutto il concept – sa

solo che entrambi sono sia vittime che complici di questa situazione.

Meno male: il brano più amaro di tutto l’album, anche perché purtroppo il più vero. Riko si

ritrova a sospirare “meno male” che non sia “toccato a lui” di essere licenziato dal posto di lavoro.

Il nostro protagonista si vergogna di pensare tutto ciò, ma allo stesso tempo sa benissimo che “ogni

mese il fine mese è sempre più lontano” per cui “meno male”.

G come giungla: ritmo “alla Liga”, la canzone apripista di Made in Italy, uscita in radio ancor

prima del concerto evento di Monza. I riferimenti all’oggi si sprecano: si parla di terrorismo, di

guerre, di banche, di regole saltate e di favole dimenticate, di lavoro, di licenziamenti e di “mi

piace”. Ancora una volta, però, si ha la sensazione che Luciano voglia farci passare un altro

messaggio e infatti: “non basta restare al riparo, chi vuol sopravvivere deve cambiare”.

Ho fatto in tempo ad avere un futuro: la classica ballata, presentata al Liga Rock Park e subito

amata dai fan come se la conoscessero da sempre. Un brano che rimarrà tra i pezzi storici di

Luciano, basti guardare l’ultima strofa: “Ho fatto in tempo ad avere un futuro, che fosse molto più

grande di me; magari ne merito un altro di nuovo, dove comunque ci sei anche te”. Eccola, la

speranza, anche per Riko e Sara.

L’occhio del ciclone: una canzone travolgente, in cui solo il ritmo è sufficiente a dare l’idea di

trovarsi “nell’occhio del ciclone”. Un vero e proprio racconto di uno dei tanti cortei a Roma, a cui

Riko trascina anche i suoi amici Max e Carnevale – come ci informa lo stesso Riko nella lettera che

anticipa il brano – perché “qualche cosa va fatto” (di nuovo questo tema della volontà di partecipare

e di cambiare, nel proprio piccolo, il mondo). Come ad ogni corteo, però, la situazione degenera ed

il terzetto si ritrova tra vetrine spaccate, macchine a fuoco, lacrimogeni, cariche e, soprattutto,

manganellate. Riko, infatti, viene colpito in testa da uno spaventatissimo poliziotto molto giovane.

Quasi uscito: un brano brevissimo, ma allo stesso tempo senza alcun dubbio il più intenso. Solo

chitarra e voce, quasi provoca male fisico all’ascoltatore, che si riesce ad immedesimare

perfettamente nelle parole e nella voce di Luciano che racconta di come Riko, rimasto a terra dopo

il colpo in testa, vorrebbe lasciarsi andare, perché si sente “quasi uscito”.

Dottoressa: il brano più scanzonato e provocante – in tutti i sensi – dell’album. La terza canzone

presentata al Liga Rock Park ha subito fatto breccia nei cuori dei fan – a dire il vero non proprio

positivamente – che non facevano altro che parlare di questa “Dottoressa” mentre defluivano dal

parco di Monza. Ma torniamo a noi: Riko è in ospedale e conosce una dottoressa estremamente

affascinante, davvero, davvero, davvero “brava”. Il nostro amico ci prova spudoratamente e

chissà che la dottoressa non lo abbia veramente “guarito”.

I miei quindici minuti: un ritmo travolgente, tutto da fischiettare e che rimane subito in testa.

A Riko vengono applicati dodici punti di sutura, sembra stare bene, ma i medici non lo vogliono

dimettere. Fuori dalla sua stanza è pieno di telecamere dei talk show di turno e Riko è stupito da

questi “quindici minuti di popolarità” che lo attendono quando uscirà dall’ospedale. Nel mentre il

ragazzo poliziotto che lo ha colpito lo va a trovare per sapere come sta, sempre più intimorito, e

Riko si ritrova paradossalmente a consolarlo, dicendogli che non è colpa sua.

Apperò: Riko viene dimesso ed in un minuto o poco più questa canzone ci racconta della sua

intervista con i giornalisti che, appena spento il microfono, schizzano via dimenticandosi totalmente

di lui perché “era già tutto a posto, pronto per il prossimo”, apperò!

Made in Italy: titletrack dell’album e secondo singolo estratto, la classica canzonetta all’italiana,

in tutti i sensi. Riko e Sara, accumunati da questo grande spavento, si ritrovano e decidono di

rimettersi in gioco, arrivando persino a risposarsi – per finta ovviamente – in presenza degli amici

più cari. Sara decide quindi di fare una seconda luna di miele, come non si usa più, una luna di

miele “Made in Italy”. La coppia gira l’Italia da nord a sud su un treno che – stranamente – “non è

mai stato una volta in orario”. Questa canzone è un vero e proprio omaggio alle principali città

italiane, che vengono perfettamente raccontate in appena una o due strofe ciascuna.

Un’altra realtà: arriviamo all’ultimo brano dell’album ed arriviamo finalmente a quella speranza

che ha sempre contraddistinto la produzione del Liga. Non per nulla il coro “ci sarà quello che ci

sarà” viene cantato dalla voce pura e spensierata di alcuni bambini, stile coro dell’Antoniano. La

canzone si conclude con la frase “ecco che spunta, un’altr

Dopo essere stato annunciato al Liga Rock Park di Monza, il 18 novembre l’album Made In Italy,

l’ultima fatica del rocker emiliano Luciano Ligabue, è finalmente uscito. Non si tratta di un album

“normale”, ma di un concept album, un album che racconta la storia di un personaggio, in questo

caso di Riko. Riko è l’alter ego di Ligabue – che di secondo nome si chiama, guarda caso,

Riccardo – è colui il quale sarebbe probabilmente diventato il cantante se Pierangelo Bertoli non lo

avesse scoperto. Un album molto diverso da quelli a cui sono abituati i fan del Liga, in quanto non

troviamo il solito Luciano innamorato o fiducioso nel futuro che ci dice che “il meglio deve ancora

venire”. La speranza la troviamo solo alla fine dei 14 brani, ma non anticipiamo nulla. Le canzoni

sono pensate durante il Mondovisione Tour, quando la band era in giro per il mondo a suonare i

successi del rocker. Qui Luciano ha incominciato a riflettere sul perché così tanti italiani siano

costretti a trasferirsi all’estero, specialmente per motivi di lavoro e qui ha scritto Non ho che te, una

canzone che racconta di un uomo di mezza età che si ritrova all’improvviso, come tanti, senza

lavoro. Qui è nato Riko. La storia di Riko è raccontata anche all’interno del booklet dell’album

grazie alle lettere che il protagonista scrive all’amico fraterno Carnevale prima di ogni brano e

che di fatto ne sono la spiegazione. Analizziamo ogni traccia e ripercorriamo il cammino di Riko:

La vita facile: è il primo brano dell’album, uno dei tre inediti presentati a Monza. Puro rock, basta

solo il riff della chitarra per dare una carica unica. Allo stesso tempo è però una canzone amara

che racconta di aspettative tradite e di un paese “che era tutto da rifare”, di un paese che “fa finta

di cambiare e intanto resta a guardare”. E intanto Riko si chiede chissà com’è e chissà dov’è questa

vita facile, perché lui la vita facile non l’ha proprio mai avuta.

Mi chiamano tutti Riko: finalmente il nostro protagonista si presenta. Riko è il classico uomo “in

crisi” di mezza età che ha cominciato troppo presto a lavorare e ha avuto troppa fretta “a mettersi

con Sara”. A soli 20 anni, infatti, faceva lo stesso lavoro del padre, divideva già un appartamento

con Sara ed aveva pure un figlio. Riko sa di aver bruciato le tappe e sa anche che “di colpo di

tappe non ce n’erano più”. Sullo sfondo in questo brano troviamo una critica – a dire il vero non

troppo sottile – verso la politica e verso soprattutto i politici, che promettono mari e monti –

evitiamo di riportare le parole esatte della canzone – senza mai rispettare nemmeno una di queste

promesse.

È venerdì, non mi rompete i c*****: (sì, ciò che pensate). In questa canzone dal ritmo rilassato,

“alla venerdì sera”, Carnevale e Riko tornano dopo anni in un locale dove amavano passare i

venerdì sera, ma tutto è cambiato e si sentono un po’ fuori luogo. Qui Carnevale tenta di attaccar

bottone con due ragazze, ma all’improvviso spuntano due ragazzi che ricordano loro, minacciandoli

persino con una pistola, quanto siano troppo “vecchi” per questi luoghi e che “c’erano prima loro”.

Vittime e complici: forse l’unica canzone d’amore dell’album, ma è un amore totalmente in crisi,

se non finito. È il resoconto della storia tra Sara e Riko, la cui crisi si riflette anche sulla loro casa,

dove ogni oggetto “fa difetto”. Un brano triste, in cui molte coppie non faticheranno a riconoscersi.

Riko non ha idea di come si sia arrivati a tutto questo – “chissà cos’è successo, dove c’era mare

mosso tra noi due adesso c’è soltanto un lago piatto” resta una delle perle di tutto il concept – sa

solo che entrambi sono sia vittime che complici di questa situazione.

Meno male: il brano più amaro di tutto l’album, anche perché purtroppo il più vero. Riko si

ritrova a sospirare “meno male” che non sia “toccato a lui” di essere licenziato dal posto di lavoro.

Il nostro protagonista si vergogna di pensare tutto ciò, ma allo stesso tempo sa benissimo che “ogni

mese il fine mese è sempre più lontano” per cui “meno male”.

G come giungla: ritmo “alla Liga”, la canzone apripista di Made in Italy, uscita in radio ancor

prima del concerto evento di Monza. I riferimenti all’oggi si sprecano: si parla di terrorismo, di

guerre, di banche, di regole saltate e di favole dimenticate, di lavoro, di licenziamenti e di “mi

piace”. Ancora una volta, però, si ha la sensazione che Luciano voglia farci passare un altro

messaggio e infatti: “non basta restare al riparo, chi vuol sopravvivere deve cambiare”.

Ho fatto in tempo ad avere un futuro: la classica ballata, presentata al Liga Rock Park e subito

amata dai fan come se la conoscessero da sempre. Un brano che rimarrà tra i pezzi storici di

Luciano, basti guardare l’ultima strofa: “Ho fatto in tempo ad avere un futuro, che fosse molto più

grande di me; magari ne merito un altro di nuovo, dove comunque ci sei anche te”. Eccola, la

speranza, anche per Riko e Sara.

L’occhio del ciclone: una canzone travolgente, in cui solo il ritmo è sufficiente a dare l’idea di

trovarsi “nell’occhio del ciclone”. Un vero e proprio racconto di uno dei tanti cortei a Roma, a cui

Riko trascina anche i suoi amici Max e Carnevale – come ci informa lo stesso Riko nella lettera che

anticipa il brano – perché “qualche cosa va fatto” (di nuovo questo tema della volontà di partecipare

e di cambiare, nel proprio piccolo, il mondo). Come ad ogni corteo, però, la situazione degenera ed

il terzetto si ritrova tra vetrine spaccate, macchine a fuoco, lacrimogeni, cariche e, soprattutto,

manganellate. Riko, infatti, viene colpito in testa da uno spaventatissimo poliziotto molto giovane.

Quasi uscito: un brano brevissimo, ma allo stesso tempo senza alcun dubbio il più intenso. Solo

chitarra e voce, quasi provoca male fisico all’ascoltatore, che si riesce ad immedesimare

perfettamente nelle parole e nella voce di Luciano che racconta di come Riko, rimasto a terra dopo

il colpo in testa, vorrebbe lasciarsi andare, perché si sente “quasi uscito”.

Dottoressa: il brano più scanzonato e provocante – in tutti i sensi – dell’album. La terza canzone

presentata al Liga Rock Park ha subito fatto breccia nei cuori dei fan – a dire il vero non proprio

positivamente – che non facevano altro che parlare di questa “Dottoressa” mentre defluivano dal

parco di Monza. Ma torniamo a noi: Riko è in ospedale e conosce una dottoressa estremamente

affascinante, davvero, davvero, davvero “brava”. Il nostro amico ci prova spudoratamente e

chissà che la dottoressa non lo abbia veramente “guarito”.

I miei quindici minuti: un ritmo travolgente, tutto da fischiettare e che rimane subito in testa.

A Riko vengono applicati dodici punti di sutura, sembra stare bene, ma i medici non lo vogliono

dimettere. Fuori dalla sua stanza è pieno di telecamere dei talk show di turno e Riko è stupito da

questi “quindici minuti di popolarità” che lo attendono quando uscirà dall’ospedale. Nel mentre il

ragazzo poliziotto che lo ha colpito lo va a trovare per sapere come sta, sempre più intimorito, e

Riko si ritrova paradossalmente a consolarlo, dicendogli che non è colpa sua.

Apperò: Riko viene dimesso ed in un minuto o poco più questa canzone ci racconta della sua

intervista con i giornalisti che, appena spento il microfono, schizzano via dimenticandosi totalmente

di lui perché “era già tutto a posto, pronto per il prossimo”, apperò!

Made in Italy: titletrack dell’album e secondo singolo estratto, la classica canzonetta all’italiana,

in tutti i sensi. Riko e Sara, accumunati da questo grande spavento, si ritrovano e decidono di

rimettersi in gioco, arrivando persino a risposarsi – per finta ovviamente – in presenza degli amici

più cari. Sara decide quindi di fare una seconda luna di miele, come non si usa più, una luna di

miele “Made in Italy”. La coppia gira l’Italia da nord a sud su un treno che – stranamente – “non è

mai stato una volta in orario”. Questa canzone è un vero e proprio omaggio alle principali città

italiane, che vengono perfettamente raccontate in appena una o due strofe ciascuna.

Un’altra realtà: arriviamo all’ultimo brano dell’album ed arriviamo finalmente a quella speranza

che ha sempre contraddistinto la produzione del Liga. Non per nulla il coro “ci sarà quello che ci

sarà” viene cantato dalla voce pura e spensierata di alcuni bambini, stile coro dell’Antoniano. La

canzone si conclude con la frase “ecco che spunta, un’altra realtà” ed è esplicativa di ciò che è

successo a Riko durante il suo vero e proprio percorso di formazione. Come il nostro protagonista

spiega infatti all’amico Carnevale nell’ultima lettera del booklet “bisogna darsi da fare per saper

guardare e riuscire a vedere un’altra realtà”. Riko ce l’ha fatta, non avrà una vita facile, sarà un

combina guai eppure un momento di difficoltà – la sua permanenza in ospedale – lo ha fatto

riavvicinare con Sara e, soprattutto, gli ha fatto riscoprire se stesso e il fatto che può esistere,

nonostante tutto, nonostante i problemi, nonostante il lavoro, nonostante i sogni sfumati e

nonostante le tappe bruciate fin troppo presto, un’altra realtà, se solo la si sa vedere.

a realtà” ed è esplicativa di ciò che è

successo a Riko durante il suo vero e proprio percorso di formazione. Come il nostro protagonista

spiega infatti all’amico Carnevale nell’ultima lettera del booklet “bisogna darsi da fare per saper

guardare e riuscire a vedere un’altra realtà”. Riko ce l’ha fatta, non avrà una vita facile, sarà un

combina guai eppure un momento di difficoltà – la sua permanenza in ospedale – lo ha fatto

riavvicinare con Sara e, soprattutto, gli ha fatto riscoprire se stesso e il fatto che può esistere,

nonostante tutto, nonostante i problemi, nonostante il lavoro, nonostante i sogni sfumati e

nonostante le tappe bruciate fin troppo presto, un’altra realtà, se solo la si sa vedere.

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Mauro Carabelli

Giornalista

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