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L’ACCOGLIENZA SENZA REGOLE

MIGRANTES

(Foto da: ilprimatonazionale.it)

(Mauro Carabelli)  ll concetto dell’”errante in cerca di una casa” non credo appartenga solo alle Sacre Scritture ma è insito nella storia dell’Uomo affamato di senso concreto oltre che di un astratto paradiso perduto. Lo dico da credente al quale sarebbe facile non problematizzare la promessa divina e l’abbraccio del Padre semplicemente accettandoli come dati fideisticamente inconfutabili. Lo dico soprattutto come essere umano inevitabilmente al centro di quel rapporto dialettico in cui una parte è l’evento generativo in sé stesso che fa capo alla parola caos, derivante dal verbo greco kàino (mi spalanco) e l’altra, un’intelligenza normativa che offre alle creature la possibilità di cogliere e dotarsi di un ordine , un logos, dentro cui si possa esistere senza perdersi ed essere travolti dalla esuberanza della natura. Non solo una redenzione a cui tendere dunque, ma anche una Legge, dei Comandamenti, su cui poter reggere il cammino senza inciampare. L’esistenza umana è incastonata in questa contraddizione, da una parte sballottata nella ricerca di una terra promessa lungo il vortice esistenziale e dall’altra legata ad una tradizione normativa che ne indica il possibile avvicinamento. E’ una problematica che appartiene solo ai credenti? Direi di no, perché strutturale all’uomo dotato comunque di trascendenza oltre che di ragione. Gli stessi Greci sia nella rappresentazione tragica quanto nella narrazione omerica mettono l’uomo al centro di questa contraddizione dove il fattore della tensione tra caos e ordine altro non è che un barcamenarsi in un pelago dove trovare la propria via, darsi un fine, uno scopo, un destino, un ritorno ad Itaca. Ora, il senso del messaggio evangelico è racchiuso anche nell’invito ad abbandonarsi – fidandosi – nelle braccia di quel Padre che tutto può, pure perdonarti, se lo ricerchi dopo averlo rinnegato. Ma riavvicinarsi al Padre dopo essersi giocati o persi nel disordine esistenziale significa anche darsi una direzione. E ciò presuppone l’organizzazione del ritorno certamente guidati dallo Spirito ma anche attraverso l’inveramento di una norma. E’ vero: saremo soccorsi e accolti così come saremo stati capaci di accogliere e soccorrere, passo dopo passo, colui che ci è prossimo. Ma dobbiamo essere capaci anche di soccorrerci perché colui che è prossimo è anche quella parte di noi che deve poter accettare nella profondità di sé non solo il significato ma il senso esistenziale dell’accoglienza e del soccorso. E’ un processo che ha bisogno di concretezza ed esperienza non solo di supino ascolto di “verità universali” e che sovente non avviene in tempi brevissimi, almeno non per tutti. E’ un processo che ha bisogno dell’avvicinamento e del convincimento non esenti da cadute come spesso è avvenuto anche tra i discepoli di Gesù. E’ un processo soprattutto complicato e denso di fragilità quando colui che ti è prossimo è sconosciuto a fronte della possibilità di accoglierlo a braccia aperte fidandosi della divina provvidenza. Ecco allora che si pone inevitabilmente il come affrontare la problematicità dell’aprirsi a tutto ciò che ricade prepotentemente sulla esistenza umana. Il punto è: siamo tutti realisticamente preparati ad accogliere tout court lo spalancarsi epocale del mondo a prescindere da qualsiasi filtro normativo che invece potrebbe metamorfizzare un’invasione epocale in fraterna convivenza? Francamente penso di no se si pretende che ciò possa avvenire hic et nunc in virtù di un richiamo domenicale del Pontefice. La vivificante Parola di Dio sprovvista di una norma ordinatrice adeguata ai tempi e ai contesti rimane una bella ma purtroppo vuota declamazione. Lo stesso Gesù, in più di un’occasione, testimoniò l’importanza del rispetto della legge temporale. Il “Reddite quae sunt Caesaris Caesari et quae sunt Dei Deo” non va interpretato solo come un geniale escamotage per debellare i tranelli farisaici o come un aut aut: o si sta da una parte o dall’altra. Ma come il problematico percorso del credente al centro della contraddizione che presuppone trascendenza ma anche ragionevolezza. Significa vivificare l’esistenza lungo un ordine affettivo ma anche precettivo. Ciascun ordine deve reggere l’altro altrimenti si genererebbe incomprensione, rifiuto, conflitto. Ecco perché sono molto critico rispetto a chi vagheggia l’accoglienza illimitata quale valore universale, criticando il generale disorientamento quasi fosse un atteggiamento politico ostativo nei confronti di ogni migrante. Nella vita reale di una società organizzata, di cui ci nutriamo, esiste anche la necessità di poter ben amministrare la caotica erranza dell’esistenza senza per questo rinunciare alla tensione riformatrice dettata dallo Spirito. Ma un progetto così importante per essere elaborato ed accolto deve nutrirsi anche di una visione strategica fatta di mezzi, spazi, risorse, tempi, leggi adeguate, rispetto delle identità e soprattutto ascolto delle ragioni di ciascuno. Aspetti questi su cui una parte della Chiesa è debole e divisiva perché sacrifica la missione ecclesiale tra i popoli sull’altare dell’astrattezza ideologica, finendo col fare Lei stessa ciò che contesta alla politica, solo propaganda.

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Mauro Carabelli

Giornalista

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