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Analfabetismo funzionale

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(mc) Di fronte alla liquidità dei vari risultati elettorali, al netto dei dati provenienti dalla zoccolo duro di ciascun schieramento, ciò che colpisce sono le macro variazioni numeriche che, di volta in volta,  spesso in modo incoerente,  assottigliano o dilatano in modo significativo i margini di preferenza tra i partiti.

E ciò avviene non più sulle lunghe ma sulle brevi distanze visto il rapido avvicendarsi degli appuntamenti elettorali politico-amministrativi. Il caso eclatante è quello dei ballottaggi nelle ultime elezioni amministrative dove, nelle grandi città, le aggregazioni del centro sinistra hanno abbondantemente recuperato su quelle del centro destra  a detrimento anche dei risultati delle elezioni europee.  Certo, la disparità dei risultati si possono giustificare a causa della diversa percezione che l’elettore ha delle elezioni locali rispetto a quelle politico-nazionali e a quelle continentali.  Tuttavia, appurato che il gradiente di fondo dovrebbe essere la  fedele appartenenza a un determinato schieramento,  all’indomani dell’esito, i vari leader accusano il capovolgimento di fronte, l’avvicinamento o il sorpasso del proprio partito a danno di quello del competitor più accreditato, per essere poi smentiti, da lì a breve, nel turno successivo.

Se questi capovolgimenti di fronte avvenissero sulle lunghe distanze il caso rientrerebbe nell’ambito di un giudizio ponderato da parte dell’elettore sulla coerenza programmatica e ideologica di una determinata forza politica. Ma quando i mutamenti sono repentini, oltre a disorientare la maggior parte degli elettori fidelizzati, stentano ad essere compresi anche nelle sofisticatissime analisi da parte degli istituti e degli analisti politici.

Sullo sfondo, permane il dato inquietante dell’astensionismo che oramai sfiora il 50% degli aventi diritto al voto e che restringe l’appeal di cui gode ogni schieramento a percentuali alquanto relative per essere in assoluto rappresentative.

La liquidità del voto e il dato dell’astensionismo, al netto, come dicevo all’inizio, della comprovata fidelizzazione dello zoccolo duro e anche di una parte  dell’astensione quale ‘consapevole’ espressione di protesta, vengono interpretati alla stregua di un dato fisiologico tipico delle democrazie occidentali. Sebbene, giova ricordarlo, negli USA , per esempio, buona parte dell’astensionismo appartiene alle classi meno abbienti più per complicazioni organizzative che per volontà dei singoli.

Questa “tipicità” fisiologica è da attribuire alla tolleranza comportamentale nelle democrazie occidentali  o persistono, soprattutto nel nostro Paese, debolezze strutturali nel leggere, capire e rapportarsi ai problemi economici, sociali e culturali tali da snaturare in parte la qualità del voto espresso?

Ovvero, l’incoerenza del voto  e l’estesa estraneità  degli aventi diritto  appartengono ad una sorta di porta girevole per cui si sceglie in libertà di non stare rigidamente nell’identico ‘posto’  oppure tradisce  l’incapacità e la mancanza di strumenti da parte di una significativa parte dell’elettorato per comprendere, valutare e farsi coinvolgere nelle scelte e nel dibattito promossi dai vari partiti?

Già più di quarant’anni fa, fu proprio l’Unesco a metterci in guardia da un fenomeno di impoverimento nell’apprendere e giudicare un testo scritto che andava di pari passo con l’evoluzione tecnologica e il relativo apprendimento “passivo” attraverso le immagini mediate dai media televisivi e digitali.

La ricerca dell’Unesco, con il termine “Analfabetismo funzionale”, descriveva la condizione di una persona incapace di comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere da testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità.

In sostanza, il destinato all’analfabetismo funzionale avrebbe avuto nel tempo sempre più difficoltà nel comprendere testi indirizzati a persone comuni, eseguire semplici calcoli matematici. Ma anche scarsa conoscenza dei fenomeni storici e mancanza di criticità nel giudicare le problematiche del mondo in cui si vive. Il tutto anche se avesse percorso un iter scolastico obbligatorio e, addirittura oltre, con il conseguimento di una laurea.

Sulla base di questi parametri, secondo un’indagine Ocsee-Piaac del 2019 il 27% della popolazione italiana è considerata analfabeta funzionale. Percentuale altissima, la più alta in tutta Europa. Gli unici due stati che hanno raggiunto una posizione peggiore sono la Turchia (45%) e il Cile (53%).

Scomponendo poi il dato relativo alla popolazione italiana: il 5% comprenderebbe solo informazioni elementari in testi molto corti, mentre il 22% comprenderebbe testi digitali e cartacei solo se abbastanza brevi.

Significa che nel nostro Paese circa 16 milioni di persone tra i 16 e i 65 anni non sono in grado di comprendere un testo semplice. Di questi quasi 3 milioni sono giovani. Solo il 10% di questi 16 milioni è disoccupato. Inoltre, una persona su 5 ha la televisione come strumento principe di informazione. Non legge libri, giornali, non va a teatro, non va al cinema, non ascolta musica, non ha particolari hobbies, la sua vita sociale non prevede stimoli cognitivi di nessun genere salvo frequentare i social network attraverso i quali  analizzare le situazioni  prendendo unicamente in considerazione la propria vita e le proprie conoscenze, il proprio microcosmo, quale unica realtà possibile.

Ora, se quasi un terzo della popolazione italiana (non è poco) è da considerarsi   analfabeta funzionale, e quasi la metà diserta le cabine elettorali,  è possibile che questa situazione stia in parte  incidendo nelle dinamiche elettorali e nelle scelte politiche del nostro Paese?  Certo è che  questo cospicuo  e ondivago margine di partecipazione  intacchi la già critica stabilità degli esiti politici. Oltretutto questa dinamica è cavalcata da uno scontro che anziché spiegare  si manifesta attraverso poche, elementari, ripetitive quando non aggressive e  ideologizzate parole d’ordine. Insomma pur di pescare margini di consenso nell’assenteismo  patologico si fa leva sull’eccitazione momentanea  e non su scelte ragionate, partecipative e ricche di contenuti. Tutto ciò  non aiuta a ridimensionare   ma anzi  a  dilatare il il fenomeno dell’analfabetismo funzionale nella politica, declinandolo sia sulla persistenza del  qualunquismo distruttivo sia sulla contrapposizione violenta sui social, nelle piazze e purtroppo anche nei luoghi deputati alla neutralità del sapere rappresentati dalle università.

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Mauro Carabelli

Giornalista

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