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Trump, la Storia e la potenza del simbolo

 Iwo
(mc) La maggioranza degli illuministi e tutti i positivisti hanno liquidato il “simbolo” e la sua forza dirompente come un’eredità ancestrale, un valore conoscitivo pressoché nullo per la persona che si reputa civilizzata. Alla meglio, un semplice “segno” da comprendersi all’interno di un determinato contesto narrativo. Eppure, ogni giorno, abbiamo la dimostrazione di come l’espediente simbolico attivi dentro di noi delle profonde dinamiche psicologiche che ci aprono alla conoscenza di un significato “altro” che non corrisponde ma va al di là della semplice rappresentazione visiva di un oggetto o di una situazione. La pubblicità ha costruito le proprie fortune attraverso questa ricca movimentazione interiore. Tutta la simbologia del mondo politico, dalla falce e martello al fascio littorio, dallo scudo crociato all’edera, dal pugno chiuso alla “V” di Victory, e via rappresentando, non è servita solo per aggregare attorno ad un semplice disegno i relativi affiliati ma ha attivato alla radice delle emozioni travalicanti spesso i limiti stessi del campo ideologico di appartenenza. Non parliamo poi di inni, semplici canzoni, rappresentazioni teatrali e riletture mitico fiabesche capaci di animare le corde più profonde della collettività o di sollevare potenti archetipi nella storia umana come direbbe Gustav Jung. Perché questa premessa? Semplicemente perché mai da ottant’anni ad oggi, negli Usa, dopo la “Raising the Flag on Iwo Jima” , cioè l’alzabandiera da parte di militari statunitensi ripresi nell’atto di issare la bandiera sulla vetta del monte Suribachi appena conquistato alla guarnigione giapponese, c’è stata un’immagine così potentemente iconica come quella di Trump sporco di sangue sull’orecchio e la guancia che grida “Fight!” alzando ripetutamente il pugno, mentre sullo sfondo sventola un bandierone stelle e strisce. Ciò detto, evidentemente al netto delle simpatie o delle antipatie politiche che circondano il “tycoon”, o dalla ricerca di responsabilità di chi negli Usa ma anche in Europa ha creato il cosiddetto “clima d’odio” dentro il quale può scatenarsi l’impulso omicida di un ventenne. Sebbene gli analisti politici e i sondaggisti si stiano scatenando, è prematuro prevedere quanto l’attentato in sé e la relativa forza iconica della rappresentazione siano determinanti nell’incidere sul “sentiment” e sul risultato finale delle prossime presidenziali americane. All’esito mancano ancora quattro mesi che sono un’eternità visti i colpi di scena che si susseguono improvvisi e inaspettati nel duello tra i competitor repubblicani e democratici. E’ certo che siamo testimoni di come sovente la “storia” non proceda secondo una linea retta, passo dopo passo, ma piuttosto sia il risultato di dinamiche talmente complesse da risultare imprevedibili, in cui una minima variazione, anche fortemente “simbolica” può avere effetti di vasta portata. Vedremo se quel semplice “Fight” a pugno chiuso sia prodromo di trasformazioni degli attuali, tesissimi squilibri mondiali.
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Mauro Carabelli

Giornalista

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