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Una bella canna di Kamala

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(Foto IG)
(mc) Trump è in leggero vantaggio. Ok, ma non abbasserei troppo la guardia. Certo, la senescenza di Biden è stata una bella zavorra per il Democratic Party ed è pacifico che Kamala Harris sia più nota per le gaffe e il sorriso isterico che per le doti politiche. Tuttavia, i dem possono anche contare sull’appoggio dei grandi media, dell’establishment Hollywoodiano, della burocrazia e dei sogni dorati della pubblicità, cioè su quello che fa immagine, spettacolo, tendenza oltreché iperdosaggio di fake news. E sulla Harris l’investimento sarà massiccio tale da trasformare l’impossibile nel fattibile, il ferro in oro, una lavandaia in una regina, una scheda elettorale ignota in un punto a suo favore. Già ora, da noi, nella provincialissima periferia dell’impero, i giornali progressisti, ma non solo, e in particolare quelli sul libro paga degli Agnelli Elkann stanno insalivando i loro pennini nel tessere le lodi della Kamala, non tanto perché sia un mostro sacro della politica, ma perché è donna, per giunta di colore, sfrenatamente sulla prima linea nella difesa dei diritti, qualsiasi essi siano, basta che lo siano. Argomenti in grado di assegnare a Trump la parte del fottutissimo cattivo, patriarca bianco, fascistoide e un po’ puttaniere. Già si sentono le trombe del settimo cavalleria liberal. Il che, se è zucchero filato da noi figuriamoci nell’America delle minoranze etniche, del femminismo sfrenato, dell’aborto a go go, della cultura woke, delle nuove generazioni strafatte di fenetilina e cannabis. Provate a respirare l’aria di New York. Non c’è bisogno di farsi una canna.
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Mauro Carabelli

Giornalista

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