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Parigi indelebile sulla pelle

tatoo

(di Elisabetta Riva)

Due iniziative solidali per commemorare la strage del 13 novembre.

A poche ore dalla tragica vicenda, Jean Jullien, grafico francese naturalizzato a Londra, postava su tutti i social network il frutto del suo estro: il simbolo della pace elegantemente trasformato in una Tour Eiffel stilizzata.

L’immagine è immediatamente diventata virale sul Web, accompagnata dalle parole “Pray for Paris”, che in molti hanno condiviso per esprimere apertamente la loro solidarietà nei confronti delle vittime e dei sopravvissuti al massacro.

Quasi istintivamente, per non dimenticare, una larga fetta di giovani ha deciso di tatuare sulla propria pelle l’icona in oggetto, che sembra essere la più gettonata, insieme con la data della strage, l’Arco di Trionfo e la frase “Fluctuat nec mergitur” (che campeggia su Place de la Rèpublique). Un’iniziativa che fa riflettere: non si tratta di un gesto puramente “estetico”, ma di una mozione intrinseca che induce (in questo particolare caso) un francese, spinto da sentimenti patriottici e di speranza, a provare dolore per vedere realizzato un piccolo segno grafico, di grande importanza personale. Quel tatuaggio non rappresenta motivo di vanto tra amici e conoscenti, ma un grido di libertà, di solidarietà, di memoria. Sono stati talmente tanti a richiederlo che un noto tatoo shop, CafèInk, situato a Le Havre, ha deciso di concedere sedute gratuite a tutti coloro che avessero avuto voglia di tatuarsi in nome di Parigi. “Non è solo un progetto solidale” spiega il proprietario, “ma una presa di posizione in ricordo di tutte le vite innocenti spezzate in quella notte maledetta”.

La sopracitata è una notizia relativamente recente, preceduta da un evento, a mio parere senza precedenti: la mattina del 14 novembre scorso, all’indomani della carneficina, una moltitudine di cittadini si è accodata di fronte all’Hopital Europeèn Georges – Pompidou, situato nel quindicesimo arrondissement, per donare sangue. L’Etablissement français du sang (l’Agenzia francese che si occupa di donazioni e trasfusioni) ha infatti comunicato – riscontrato il bilancio dei morti e dei feriti, 136 e 352 rispettivamente – che i centri attivi in cui sarebbe stato possibile donare risultavano 20, i quali, quel sabato, sono stati letteralmente invasi da turisti, francesi e passanti.

“È la prima volta che mi capita di donare il sangue”: queste sono state le parole che hanno fatto da sfondo all’iniziativa benefica; nessuno si è lasciato intimorire, perchè la necessità di reperire urgentemente sangue per trasfondere coloro che ne avevano bisogno era primaria, e tutti l’hanno compreso, mossi da un sentimento paragonabile alla “fratellanza”.

Due gesti forti, che evocano un significato molto profondo, la stipula di un “patto”, inciso sulla pelle, per non dimenticare mai.

Sapere di aver contribuito – nel proprio piccolo – a salvare o ad aiutare una persona (anche sconosciuta) in gravi condizioni fisiche e, far sì che il ricordo e la memoria diventino atti di quotidianità, sono colonne portanti per la consapevolezza di essere uniti, come paese, come democrazia, ma soprattutto come esseri umani.

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Mauro Carabelli

Giornalista

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