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L’attualità di Arancia Meccanica

 

arancia meccanica

 

 

(Di Elisabetta Riva)

“Le avventure di un giovane i cui interessi principali sono lo stupro, la violenza e Beethoven”.

Arancia Meccanica, capolavoro eterno di Stanley Kubrick, esordisce nel 1971 calcando prepotentemente la scena cinematografica. La pellicola è un adattamento del romanzo di Anthony Burgess, edito nel 1962, una denuncia a quella società dispotica, consacrata alla violenza esasperata, prefigurata tra le file dei giovani inglesi.

Alexander DeLarge, uno studente disinteressato, di classe operaia, vive con la famiglia borghese nella zona della Grande Londra; è leader indiscusso di una banda criminale – i Drughi – insieme ai quali trascorre il tempo libero dedicandosi a sesso, furti e violenze gratuite a scapito di innocenti vittime.

Nonostante mantenga una condotta indisciplinata, Alex nutre una smisurata passione per la musica classica, in particolare per Beethoven, che ascolta frequentemente e che altrettanto fa da sfondo alle sue visioni mistiche ed esoteriche.

Le gerarchie s’invertono, i rapporti si incrinano, la situazione precipita inaspettatamente: una notte di scorribande si chiude tragicamente con un omicidio, il giovane Drugo viene incastrato dai compagni, arrestato, processato e condannato a scontare 14 anni di pena.

Durante la sua permanenza in carcere, Alex viene a conoscenza di un’innovativa idea del governo in carica – la “Terapia Ludovico”  – che consente la scarcerazione immediata a patto che il soggetto si sottoponga ad una rieducazione sociale. Il trattamento consiste nella somministrazione di farmaci e nella visione obbligata di pellicole estremamente violente, che finiscono per innescare nei pazienti un senso di nausea perenne. Il reinserimento nella società non porta ai risultati sperati; Alex veste i panni delle vittime da lui precedentemente vessate, è apatico, inerme di fronte alle violenze e torturato, spinto quasi al suicidio.

Diretto, spinto, estremo: Kubrick analizza dettagliatamente il passaggio di transizione tra anni sessanta e settanta (riconoscibile sia nei costumi che nell’arredamento e nel design) smascherando la società e le istituzioni dispotiche e strutturali del contesto, con particolare attenzione al governo in carica. Quest’ultimo, ormai estenuato dalle innumerevoli violenze quotidiane, decide di sopprimere le bestialità umane elaborando una terapia medica, capace di condizionare nel profondo l’atteggiamento. L’obiettivo primario è quello di annullare l’individuo, generando uno stereotipo mansueto ed obbediente che risponde a delle precise caratteristiche culturali e comportamentali.

La “Terapia Ludovico”, tra le righe, rappresenta il libero arbitrio: in una cornice di assurdità e follia, il protagonista ne viene completamente privato; costretto da un evidente malessere fisico,  Alex “non ha più scelta! E quando un uomo non ha scelta, cessa di essere un uomo!”.

Un eccentrico Malcom McDowell calza alla perfezione il ruolo di quel Drugo emblema di una società in cui chi vuole ottenere qualcosa semplicemente va a prendersela, senza mezzi termini, senza chiedere il permesso, senza dimenticarsi di usare la violenza.

Non è un caso che nel 1999 Arancia Meccanica sia stato segnalato dal British Film Institute come uno dei migliori film britannici del XX secolo: scandaloso, poliedrico, complesso. Una pellicola che di rado cogliamo immediatamente, proprio per la sua ricchezza di dettagli e sfaccettature nascoste. Necessita almeno di una seconda visione per comprendere l’intento comunicativo del regista, che ha scelto la via meno facile possibile, forte dell’eclettismo e dell’animo visionario che lo contraddistinguono.

Possiamo cambiare la natura umana? Possiamo condizionare un’interiorità bestiale e veemente? La “Terapia Ludovico” funziona? Vi lascio con un drammatico epilogo che, forse, non corrisponde alle vostre aspettative, ma che vi farà comprendere quanto in profondità si cela l’essenza della nostra anima. E quella, non si può cambiare. Mai.

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Mauro Carabelli

Giornalista

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