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Crisi: “shut up and deal”, piantala e dai le carte

 

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Il new deal italiano si appresta al decollo, nuovo giro di carte in mano a Letta, Renzi e Alfano

di Franz Foti

Spesso, nei periodi di crisi o smarrimento e in assenza di soluzioni valide per ritrovare la fiducia e la strada giusta che servono a ripartire, ci siamo sentiti dire che la realtà del futuro bisogna ritrovarla nelle esperienze del passato: la storia.

La crisi ci sta distruggendo ma non ci ha sconfitti. In un bellissimo opuscolo del 1993, intitolato “Roosevelt”, si richiamano due grandi autori americani: Woody Guthrie, scomparso nel 1967, che scriveva nelle sue canzoni “la polvere non mi può uccidere” e Bruce Springsteen che canta “ c’è un altro ballo, non devi far altro che dire di sì” . Insomma ci è andata male ma avremo ancora un’altra occasione, basta saperla sfruttare. Roosevelt riuscì a sconfiggere le conseguenze della crisi del ’29 con un nuovo corso prendendo in mano il destino vincente dell’America, ridando una  nuova mano di carte dopo quella perdente e disastrosa distribuita da Hoover il quale, di fronte alla crisi, sosteneva che “la prosperità è appena dietro l’angolo…si tratta solo di ritrovare la fiducia”. Hoover predicava che non era necessario far niente di eccezionale e che il popolo americano avrebbe riscoperto la fiducia nel sistema, senza preoccuparsi in che modo recuperarla e con quali uomini gestirla.

Roosevelt sapeva benissimo quali erano le mosse giuste, come il centromediano in una squadra di football. Sapeva ascoltare la gente interpretandone espressioni, stati d’animo, bisogni, desideri e sofferenze e invitava a prendere la vita nelle proprie mani continuando a sottolineare che “Questa nazione chiede azione, e azione immediata” e che “l’insuccesso non è l’abitudine americana”. Predicava che bisognava impedire che l’evento della crisi si  trasformasse in destino mentre la crisi doveva essere usata per riscoprirlo. E a questo riguardo ricordava con forza che “il nostro vero destino non è di essere governati, ma di governare noi stessi”, volendo intendere esattamente prendere la vita nelle proprie mani. Roosevelt, statista di principi pragmatici e a-ideologici, governante tattico e flessibile, moderno “Principe”, trasmetteva la ferma convinzione secondo cui “questa grande nazione sopporterà come sempre ha sopportato, rinascerà e prospererà ancora”, insistendo sul fatto che “la sola cosa di cui dobbiamo aver paura è la paura stessa” e che “le azioni future dipendono dall’esito della prossima”.

La crisi del ’29 era stata provocata da sovrapproduzione, quella attuale da speculazione finanziaria e da distorsioni politiche e sociali, carenza di piani industriali, agricoli, ambientali, culturali, turistici, d’innovazione tecnologica ed energetica, da mediocrità della classe dirigente del paese e dalla carenza di strategie lungimiranti delle istituzioni, partiti compresi. Dunque crisi più complessa e aggrovigliata da dipanare. Per Roosevelt e gli Stati Uniti d’America le cose andarono diversamente. Applicò la pratica dell’ora e subito facendo applicare alcuni provvedimenti che è bene ricordare: un piano di assistenza nazionale, costruzione di centrali idroelettriche, impianti industriali, opere d’irrigazione, regolazione dei fiumi, lotta contro l’erosione del suolo attraverso il rimboschimento, la pubblicità nell’emissione di nuove azioni, il finanziamento delle ipoteche sulle abitazioni, un sistema di autogoverno industriale e di programmazione di lavori pubblici, la separazione delle operazioni commerciali dagli investimenti garantendo i depositi bancari (Glass-Steagall Banking Act), la riorganizzazione del credito agricolo e la nomina di un coordinatore federale dei trasporti. Correva l’anno 1933,  e quei provvedimenti furono varati fra il 4 marzo e il 16 giugno dello, i famosi primi 110 giorni di Delano Roosevelt. Penso che basti! Nel nostro ambito governativo e partitico abbiamo avuto sentore di proposte e controproposte, di espressioni sprezzanti verso altri politici, talvolta dello stesso schieramento, di annunci e di rinvii e di qualche improvvisazione di troppo, di un pullulare di sigle tributarie dove pochi ci capiscono qualcosa. Abbiamo affidato le prossime mosse a voi cari Letta, Alfano e Renzi, nuova generazione. Non è certo che altre mosse possano accompagnare il vostro e il nostro cammino. Sarebbe utile che ci richiamassimo tutti quanti a un “Patto nazionale di rinascita”, improntato alla giustizia sociale, segnalandovi un passo del compianto cardinale Carlo Maria Martini: “Vi è la simultanea presenza di due forze eterogenee e tendenzialmente opposte, la forza del potere, una forza fattuale che spinge a far prevalere l’interesse di parte e la forza della ragione e della giustizia, una forza ideale…per cui la soluzione razionale del problema consiste nel non sacrificare la giustizia al potere, ma subordinando il potere alla giustizia”.

Martini richiamava Pascal:  “la giustizia senza la forza è impotente; la forza senza la giustizia è tirannica… bisogna dunque mettere insieme la giustizia e la forza; per giungervi bisogna far sì che ciò che è giusto sia forte e ciò che è forte sia giusto” e invitava ad affidarsi ad una equilibrata distribuzione del potere e alla coscienza collettiva che costituisce il fondamento che regge l’edificio strutturale e ne assicura il funzionamento.

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Mauro Carabelli

Giornalista

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