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Il governo secondo Matteo

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di Franz Foti

La morsa dei tempi  costringe al disarmo bilanciato governo e opposizione

Quando avremo alle spalle i rituali della politica rispetto alla formazione del nuovo governo e al sigillo della fiducia dovremo fare i conti con una nuova realtà. Una realtà che ripropone un governo politico eterogeneo, composto dalle stesse compagini di prima, ma con un semigoverno ombra fatto dalle medesime forze di maggioranza con l’aggiunta di Berlusconi, che, da “esterno”, è determinante per superare lo stallo delle riforme istituzionali. Forze che, paradossalmente, si dovrebbero fronteggiare in opposizione nel caso di nuove elezioni, sapendo che l’Italia non è la Germania.

E non bisogna dimenticare che, oltre alla disastrosa crisi economica e occupazionale, ci troviamo di fronte a una crisi di valori e che la politica del nostro paese vive ancora su due pilastri marcescenti, il Privilegio e il Potere nella sua versione perversa, le due “P”.

Si è governato sino ad ora contro gli interessi generali del paese, facilitando politiche clientelari, corruzione, distruzione ambientale, ridimensionando pensioni e salari, occupazione, interessi delle imprese e aspettative della nuove generazioni, favorendo banchieri e speculatori. Insomma si è vissuto e si vive tutt’ora con e in uno stato “nemico”  e con un popolo sfiduciato, dai mille volti, talvolta inquietanti, molto emotivo e che non crede più nemmeno a se stesso. Serve fare pulizia dentro e al di fuori del palazzo. Questa è la strategia obbligata per una rieducazione ai valori etici.

Eravamo, e siamo tutt’ora, un paese in attesa di “messia”. Lo è stato Berlusconi per molto tempo e adesso è l’ora di Renzi. Matteo ha già configurato il suo “vangelo” fondato su tre assi che dovrebbero dare il senso vero del mutamento: contenuti riformatori, velocità di esecuzione, ripresa economica  e rimotivazione alla politica. Punta su quattro piani di azione che comprendono riforme istituzionali, lavoro, riforma della pubblica amministrazione, fisco. I tempi sono davvero stretti. Il “vangelo” dovrà produrre i suoi effetti entro il mese di giugno e poi si dovranno chiudere le fasi parlamentari per riformare il Titolo Quinto della Costituzione.

Il primo ostacolo sarà superato se Berlusconi terrà fede al processo di riforma elettorale. Sarà il primo passo senza il quale salterebbe immediatamente il quadro politico trascinando con sé la balcanizzazione del paese, dei partiti, delle istituzioni, e il prolungamento della crisi economica i cui esiti potrebbero essere disastrosi.

I nemici del cambiamento sono tanti. La sinistra di minoranza PD potrebbe pensare di spingere Renzi sino al baratro e poi farlo soccombere sotto i colpi dei suoi nemici. Ma sarebbe la strada dell’autodistruzione. Grillo e la sinistra radicale sono già in attesa che il governo “Matteo primo” venga impallinato quanto prima. Boiardi pubblici, speculatori, trafficanti di voti, mafiosi, corruttori ed evasori rappresentano il polo più strutturato e organizzato, pur nelle differenze, nell’ostacolare il cambiamento e quindi a sgambettare Renzi.

Ci sono altri segnali da considerare. La Sardegna ha girato le spalle a Berlusconi e al suo candidato alla presidenza. Ma un votante su due si è astenuto. E questo segnale deve preoccupare. Il popolo non “sente” più la politica. In Piemonte si rivoterà con seri rischi per la Lega e il centro destra. A maggio si voterà anche per ridisegnare il volto ormai asfittico dell’Europa.

E ci sono i paradossi. A Berlusconi piace Renzi, ma favorire Matteo significherebbe, per il Cavaliere, la fine della sua supremazia politica che si dissolverebbe se la legislatura dovesse protrarsi sino al 2018 come il premier vorrebbe che fosse. In questo caso si spegnerebbero “le età” di Berlusconi che si ridurrebbero inesorabilmente a una soltanto, quella anagrafica. Alfano, risentito per l’epiteto di “idiota” ricevuto dal suo “benefattore”, avrebbe tutto da guadagnare in una legislatura lunga con  la prospettiva di poter erodere posizioni e scettro a Forza Italia e diventare erede unico della destra.

Il centro avrebbe analogo respiro per riflettere, riorganizzarsi e riposizionarsi  sullo scacchiere politico auspicandosi di racimolare qualcosa di serio in termini di affidabilità. La sinistra “radicale” e il movimento di Grillo non avrebbero grandi motivi per essere allegri. Una lunga durata del governo significherebbe doversi misurare con i macroprocessi di cambiamento e caratterizzare  la propria azione con proposte ben chiare e distinguibili.

Dunque, per il momento, i due protagonisti decisivi sono Matteo Renzi e, ancora una volta, Silvio Berlusconi, che non vuole e non può mollare per motivi aziendali. Deve riabilitarsi e non passare alla storia come il primo premier buttato fuori dal senato per motivi giudiziari.

Renzi dovrà agire, machiavellicamente, con la forza del leone, l’astuzia della volpe e, aggiungerei, con il collo della giraffa per guardare più avanti degli altri e tracciare una prospettiva di medio e lungo periodo per il paese. Il fallimento del suo governo provocherebbe invece l’implosione e una nuova diaspora del Partito Democratico, con o senza  Pippo Civati a capo di qualche ennesima sparuta pattuglia di deputati.

Matteo ha ormai segnato una linea di svolta in termini di linguaggio, atteggiamenti, gestione della politica e capacità relazionale. Caratteristiche che non sono confrontabili con quelle di Berlusconi. Renzi rappresenta la comunicazione politica 2.0, Berlusconi  quella televisiva ormai un po’ offuscata dal venir meno del sogno italiano e dalla mancanza di bersagli “comunisti”. Si apre una nuova era con due contendenti della leadership della politica, uno romantico, autocratico e paternalista, l’altro schietto, determinato e agile come una tigre. Sapremo a breve a chi apparterrà il posto più alto del podio.

Intanto sapremo anche chi dovrà pagare i costi della riforma fiscale, cosa si farà per le imprese e il lavoro, quali prospettive si apriranno per le nuove generazioni, quanto denaro pubblico sperpererà la pubblica amministrazione a danno dello stato sociale. In questo panorama girano 1.000 miliardi di euro fra profitti criminali mafiosi, evasione fiscale e lavoro nero, corruzione e sprechi. Staremo a vedere come e quando si bonificherà questo “territorio mefitico”, si spera a vantaggio dei più deboli, e se “l’enfant prodige” salterà le mine.

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Mauro Carabelli

Giornalista

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