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SE QUESTA E’ ARTE…

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Foto da: travelchinaguide.com

DALL’ARTE AZIONE ALL’ART-ZONE. LA GRANDE FINZIONE DELL’ODIERNA PRODUZIONE CULTURALE

(Di Veronica Perazzolo)

Come diceva Hannah Arendt: “L’oggetto culturale resiste al tempo“, ed ancora: “Un oggetto è culturale, in quanto sopravvive a qualsiasi utilizzo abbia potuto presiedere alla sua creazione.”

Sarebbe possibile affermare questo concetto anche oggi ? Io non credo.

Le generazioni passate avevano sì meno scelta, ma decisamente più spazio  per la creatività individuale e collettiva.

Ora il concetto di creatività collettiva è andato dannatamente perduto: siamo la generazione delle “piattaforme sociali”, dei “ selfie” , dei mass media, così dicono.

Io parlerei piuttosto di “ anestetici sociali” , “selfish” e di un mercato dozzinale, ridondante di mediocrità, eccessi di offerta, appiattimento, zero originalità.

La filosofia dominante consiste nel “ tutto ormai già visto”.

Viene fomentato il concetto di “ non guardare oltre se stessi”, la prova evidente la si può riscontrare nell’ambito musicale, nel quale prevale decisamente il rap e l’hip-hop, generi a tutti gli effetti “ solitari”, fatti con consolle o garage band.

Il Karaoke è un altro esempio: perché mai dovremmo munirci di umiltà e prestare attenzione ad altri, magari più bravi e dotati di noi, quando possiamo esserci NOI in prima linea ad esibirci, con un modesto pubblico davanti, che applaude a prescindere dalla nostra performance?

E anche chi suona rock,  nella maggior parte dei casi si ritrova a fare lo youtuber in cameretta davanti al lettino con le lenzuola di Star Wars.

(A proposito di Star Wars… non posso fare a meno di fare un’analogia con i droni e la mia generazione, ma forse risulterei troppo disfattista…)

Il numero di band è sempre più ridotto, nessuno suona più con gli altri, l’arte è ridotta a mera masturbazione in solitaria, a qualsiasi livello.

In questo contesto, anche l’arte ha subito dei radicali cambiamenti rispetto al mercato globale.

L’arte, in tutte le sue forme, viene trattata come un qualsiasi prodotto, che per poter essere immesso sul mercato, deve possedere determinate caratteristiche per avere quindi speranza di successo.

I magnati di questo mondo, invece di collaborare per esaltare la più alta espressione creativa dell’intelletto umano, eseguono studi di mercato per individuare il target che loro stessi hanno plagiato, imponendo all’artista di essere costante nello stile, riconoscibile o ricreando totalmente un personaggio su di esso.

Qui avviene successivamente un passaggio obbligatorio: l’arte considerata “ buona” ovvero quella famosa, perché rispondente al target che gli stessi media hanno bellamente “ anestetizzato”, e l’arte “ cattiva”, quella che non ha mercato, rifiutata dal “gallerista”, dal “ maneger” perché poco commerciabile.

Questo è dunque il criterio per distinguere il “ valore dell’arte”.

L’arte non consiste più nel principale strumento di rivoluzione, il grido d’aiuto delle anime oppresse, come quei gospel partoriti dalla sofferenza del duro lavoro e dai soprusi dei padroni bianchi.

L’arte è tollerata, il sistema economico mondiale non la teme più, ormai fiero e certo di aver sparso abbastanza “anestetici sociali” per renderla piatta e innocua, eliminando dunque il problema alla radice.

Dal concetto di “ arte-azione” si è passati al concetto di “art-zone”, ovvero controllata, recintata, in cui solo all’interno di quei confini è possibile “esprimere artisticamente” contenuti all’apparenza ribelli e di critica.

L’arte era uno dei principali elementi che, fino ad oggi, era caratterizzata dalla sua permanenza nel tempo, la sua “eternità immortale”.

Ora non più: l’arte deve essere immessa sul mercato, rispecchiare dei bisogni fittizi e banali.

Deve essere rapida, di breve durata nel tempo oltre che essere fruita velocemente, per essere poi sostituita.

 

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Mauro Carabelli

Giornalista

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