0

QUANDO L’UMANITA’ SI SPEGNE: IL NUOVO 11 SETTEMBRE

 

t1

(di Rebecca Manzi)

13 novembre 2015, Parigi. Sembrava un venerdì sera come un altro, di divertimento, di sport, di musica.

Poi all’improvviso un boato, un’esplosione squarcia il tifo dello stadio.

Poi un’altra esplosione e, dopo alcuni minuti, un’altra ancora.

Il tempo si ferma. Le notizie si susseguono, confuse e frammentarie.

Si parla di altre sparatorie in giro per la città e di ostaggi sequestrati.

Il numero dei morti cresce di minuto in minuto.

Saranno 132, circa 352 i feriti, 96 gravi – cifre in costante aggiornamento.

Tante ancora le vittime non riconosciute e i famigliari in attesa di notizie dei loro cari.

Una mattanza, un massacro in piena regola.

La sequenza delle azioni, rivendicate dall’Isis, è impressionante e terribilmente ravvicinata:

Ore 21.20: si sente un’esplosione – che provocherà una vittima – fuori dallo Stade de France, dove è in corso l’amichevole Francia-Germania. Sono circa 80 mila i presenti, tra cui il Presidente francese François Hollande, che verrà fatto evacuare d’emergenza. Le porte dello stadio si chiudono, non si può più uscire, ma la partita continua, per non alimentare situazioni di terrore e caos.

21.25: un secondo commando spara sui clienti dei ristoranti Le Carillon e Le Petit Cambodge, lasciandosi alle spalle 15 vittime e 10 feriti gravi.

21.30: seconda esplosione fuori dallo stadio.

21.32: gli attentatori raggiungono un altro ristorante, questa volta italiano, Casa Nostra, i morti saranno 5, 8 i feriti.

21.36: i terroristi sparano sulla terrazza affollata del ristorante La Belle Equipe, per almeno tre minuti, 19 corpi rimarranno a terra esanimi.

21.40: un attentatore suicida si fa esplodere davanti al ristorante Le Comptoir Voltair, ferendo gravemente una persona.

21.40: un terzo commando, composto da quattro persone, giunge alla sala concerti Bataclan, famoso teatro parigino. Qui sta suonando un gruppo hard rock californiano, gli Eagles of Death Metal. La sala è gremita, almeno 1500 i presenti. Gli attentatori entrano e iniziano a sparare a colpi di Kalashnikov, urlando “Allah u Akbar” (“Dio è grande” in arabo), prima al bar e all’ingresso, poi prendendo in ostaggio circa 100 persone, raggruppandoli e giustiziandoli a freddo, a uno a uno. Il bilancio finale sarà pesantissimo. Ne massacreranno 90 sul posto e ne feriranno più di 100, prima che le teste di cuoio facciano irruzione – alle 00.25, quasi 3 ore dopo – e tre dei terroristi si facciano saltare in aria, mentre il quarto viene ucciso dalla polizia. Nel frattempo decine di richieste di aiuto, agghiaccianti, erano arrivate dai social network.

Tra le vittime della follia del Bataclan anche una ragazza italiana, Valeria Solesin, 28 anni di Venezia , borsista all’Università della Sorbona. Era lì con il fidanzato, rimasto leggermente ferito e la sorella di lui col compagno, illesi. Non si avevano più notizie di lei da venerdì sera, le speranze dei famigliari si infrangono domenica mattina con il riconoscimento all’obitorio.

21.53: terza esplosione allo stadio, un ultimo kamikaze si fa esplodere vicino a una brasserie. Emergerà poi che tutti e tre gli attentatori possedevano un biglietto per la partita. Il primo che si è fatto saltare in aria aveva anche provato ad entrare, ma una volta perquisito e essere stato di conseguenza scoperto, è fuggito e si è fatto esplodere.

Il primo a parlare è il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama che descriverà la situazione come “un attacco non solo a Parigi, non solo ai francesi, ma a tutta l’umanità”.

Poi la voce tremante di Hollande annuncia lo stato di emergenza in tutta la Francia. L’ultima volta era accaduto nel 1944, nel cuore della Resistenza della Seconda Guerra Mondiale. Le frontiere saranno chiuse. La gente viene invitata a non uscire di casa. Un vero e proprio coprifuoco. L’intera Francia è nel terrore, nel caos.

Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, parlando alla nazione la mattina seguente, affermerà: “Hanno colpito la Francia, ma colpendo la Francia hanno colpito l’umanità intera. Quella contro il terrorismo è una sfida epocale, ci vorranno mesi, forse anni, ma la vinceremo”.

Il Papa, visibilmente commosso e addolorato, userà una frase forte, paragonando questi attacchi a “un pezzo della Terza Guerra Mondiale”. “Tutto questo non è umano”. Come dargli torto.

Ognuno di noi quella notte guardava attonito, sconvolto, la televisione, con ogni canale che trasmetteva edizioni straordinarie dei TG, scorreva le home dei social network, invase da post sull’attacco francese, leggeva i giornali online e si sentiva piccolo, fragile, colpito nel più profondo.

Siamo impotenti, è questa la verità.

Fa male vedere il cuore dell’Europa, una delle città più belle del mondo, diventare un inferno.

Male fisico. Fa male vedere il simbolo di Parigi, la Tour Eiffel, spegnersi a lutto.

Essere lì nel momento in cui si accende è un’emozione che toglie il fiato, talmente grande è l’immensa bellezza di quelle luci. Vederla spegnersi toglie il fiato allo stesso modo, ma dallo sgomento. La Città delle Luci si spegne, seguita nella notte di sabato dal Colosseo, mentre gli altri monumenti di tutto il mondo si accendono per lei, proiettando il tricolore francese.

Il Parco Divertimenti Disneyland Paris, rimane chiuso per lutto per quattro giorni, per la prima volta dalla sua apertura nel 1992.

Ciò che si è spento quella notte è l’umanità.

Questo non è il mondo che vogliamo, non è il mondo in cui vogliamo crescere, non è il mondo in cui vogliamo mettere al mondo i nostri figli. Non sono queste le favole che vogliamo raccontare ai nostri nipoti.

Ci hanno dimostrato quanto siamo indifesi, quanto ci hanno nelle loro mani.

È inaccettabile che dei kamikaze si facciano esplodere fuori da uno stadio stracolmo di tifosi che stanno facendo una delle cose più belle del mondo: tifando la propria Nazionale.

È agghiacciante vedere migliaia di persone, di uomini, donne e bambini, riversarsi sul terreno di gioco, abbracciati. Sequestrati nel dolore in un luogo che dovrebbe essere di gioia. Eppure, nonostante tutto, lasciano lo stadio cantando l’inno francese, la Marsigliese, lungo i corridoi, dando una dimostrazione di immenso orgoglio e volontà di essere forti, di rialzarsi, presto, subito.

I video di quella notte ricordano drammaticamente quell’11 settembre 2001 che nessuno scorderà mai. Le persone si gettavano dalle finestre delle Torri Gemelle per evitare una sofferenza maggiore.

Il 13 novembre 2015 decine di ragazzi fuggivano dalla minuscola uscita di emergenza del Bataclan, alla ricerca di un rifugio, alcuni anche calandosi dalla finestra al piano superiore.

Non è più Charlie Hebdo. Per quanto riprovevoli siano stati quegli attacchi e per quanto la libertà di opinione e di satira vada difesa, quei giornalisti sapevano il rischio che correvano pubblicando le loro vignette satiriche. I morti di quella notte no. Stavano festeggiando, cantando, vivendo.

I parigini – anche attraverso l’hashtag #porteouverte – hanno accolto nelle proprie case le decine di persone che si sono riversate nelle strade e che non riuscivano o non potevano tornare nelle proprie, offrendo loro un posto caldo e sicuro.

Sui social dilagano gli hashtag #prayforparis – preghiamo per Parigi – e #notinmyname – non nel mio nome – con cui i musulmani di tutto il mondo rivendicano la loro estraneità e assoluta contrarietà agli attacchi. Il Corano non è tutto questo. L’Islam non è tutto questo.

Facebook permette di modificare la propria immagine del profilo temporaneamente con a sfondo la bandiera francese. Spopola il simbolo della pace con al centro la Torre Eiffel.

Saranno piccoli gesti, banali, ma se sono fatti con la testa e con il cuore possono dare un segnale forte. Perché in questo momento non serve l’odio, non si risponde all’odio con l’odio.

Dobbiamo essere uniti, solo l’unione e l’amore fa paura all’odio.

Siamo tutti parigini, siamo tutti francesi, siamo tutti fratelli.

 

 

 

 

 

Share Button

Mauro Carabelli

Giornalista

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *